DISEGNI E LETTERE INEDITE A VENT'ANNI DALLA SCOMPARSA DEL PRESIDENTE
Comandante Pert, sergente Paz
Così Andrea Pazienza raccontò a fumetti il partigiano Sandro Pertini
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Il manifesto della mostra «Paz e Pert» che sarà inaugurata da Napolitano il 6 dicembre a Palazzo Incontro di Roma |
Da una sola persona accettava ricostruzioni irriverenti di quella stagione, ed era Andrea Pazienza. Il quale raccontò a fumetti certe imprese dell'indomabile «comandante Pert» e di se stesso nelle vesti di uno stralunato «luogosergente Paz», uniti in bislacche avventure contro nazisti e fascisti. Da Roccaraso a Pavana, dalla Val Camonica all'Oltrepò, le imprese del duo di rivoluzionari indicavano all'immaginario giovanile degli anni 80 le ragioni per una nuova resistenza. Una sorta di guerra di liberazione per un'Italia in affanno tra scandali e crisi dei partiti e che poteva contare sul «nonno collettivo» Pertini. «L'ultimo esemplare di una razza di uomini duri ma puri come bambini», secondo il cartoonist che assieme a cantautori come Venditti e Cotugno, che misero in musica la sua parabola di socialista umanitario e sentimentale contribuì a fare di lui un'icona pop.
Certo, quella era una caricatura light. Perché attribuiva una maschera bonaria al presidente dal carattere «balzano e imprevedibile» - parola di Nenni - e che ridava credito alle istituzioni anche abbandonando i riti della vecchia politica. Un anticonformismo per il quale era amatissimo persino dai più feroci autori di satira. Ne è prova il rapporto con firme come Pericoli e Pirella, Vauro, Giannelli, Altan, ai quali chiedeva i disegni originali per la sua collezione. E soprattutto con i redattori del giornale dove Pazienza lavorava, «il Male», foglio spesso sequestrato per vilipendio alla religione e oltraggio a capi di Stato e al comune senso del pudore. Il presidente li invitò a pranzo sul Colle Paz non fu avvertito dai colleghi e se ne rammaricò sempre e al momento del congedo raccomandò loro: «Se vi sbattono in galera fatemelo sapere, che vi tiro fuori. La stampa dev'essere libera».
Ora, la singolarità di quel percorso complice riaffiora da una serie di illustrazioni in una mostra a Roma, nel ventennale dalla morte, che raccoglie anche una densa sezione documentaria. Rassegna sorprendente pure questa, perché alterna testi di leader politici a lettere di intellettuali e artisti. C'è per esempio Palmiro Togliatti che, il 25 aprile 1955, definisce Pertini «esempio e guida a tutti noi»: pure «ai» comunisti, quindi, il che non era un piccolo tributo, a quell'epoca. O Ugo La Malfa che nel '62 riconosce la sua mano in un articolo siglato con pseudonimo sul «Lavoro» di Genova e vi coglie «l'antica amicizia, stavolta non in contrasto con la comune battaglia». O Giorgio Almirante, che si scusa per averlo definito «un po' matto», negli anni 70, quand'era presidente della Camera: «Mi dispiace molto di averla offesa», scrive il capo neofascista, «perché molte cose mi dividono e divideranno da lei, ma non la correttezza che le ho sempre riconosciuto e che spero, dimenticando il piccolo incidente, lei voglia riconoscere a me».
Oppure «l'affetto e rispetto» di Giorgio Napolitano, il 2 giugno 1981, per il ricordo di Giorgio Amendola, suo maestro politico: «Che bella intervista gli hai dedicato. Hai detto cose, come sempre, autentiche e forti». O il telegramma che re Juan Carlos di Spagna detta il 15 giugno '82 dall'aereo perché, «sorvolando l'Italia», vuole far sapere una cosa: «Lei è sempre presente nel mio cuore».
Accanto a loro, l'epistolario pertiniano ci fa scoprire altre curiosità. Umberto Eco, nel 1982, gli spedisce la «ricottura» del testo sbobinato di un «simpaticissimo colloquio», assieme a Pericoli e Pirella, e ci scherza su: «Voi giovani siete proprio favolosi... tieni duro, Sandro!». Renato Guttuso, nello stesso anno, lo ringrazia per aver visitato una sua mostra: «Questi cinquant'anni li abbiamo profondamente vissuti; tu con l'eroismo del recluso e dell'esule, io, senza eroismi, ma con l'attenzione e il rigore di fronte allo svolgersi della storia; con passione, anche, civile e culturale». Il critico Carlo Ludovico Ragghianti, nel '62, sente il bisogno di comunicargli la decisione d'iscriversi con la moglie al Psi: «I prossimi anni saranno cruciali per il Paese; io spero di poter dare il mio contributo a una lotta che per me è cominciata nel 1924 e che non ha mai avuto sosta».
E «l'anarchico conservatore» Giuseppe Prezzolini, il 17 gennaio 1982 e quindi alla vigilia dei cent'anni, gli indirizza un omaggio che tradisce un colpo di fulmine: «Dal dì della sua nomina vidi in lei un modello dell'italiano quale mi sforzai di disegnare nei miei libri e articoli... il presidente dei viventi e non dei burocrati... la sua presenza ideale sopra il governo mi fa sperare, se non in un profondo cambiamento, almeno in un arresto della decadenza italiana, e sarà dovuto principalmente a lei».
Dal Corriere della Sera, articolo di Marzio Breda
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