giovedì 23 dicembre 2010

RIFLESSIONI: PRECARIATO, NUOVI DIRITTI E REDDITO DI CITTADINANZA

Il presidente dell’Inps,  lo scorso 6 ottobre, sulle pagine del Corriere della Sera ha chiosato al convegno dell’Ania e Consumatori: “Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale”. Sui quotidiani si evidenza che “questo significa che, mentre i lavoratori che entro 12 mesi raggiungono il diritto al pensionamento possono consultare online quanto riscuoteranno, per i precari l’incertezza sulle cifre è assoluta. I contributi che pagano oggi, ovvero il 26% del loro stipendio, finisce nelle casse dell’istituto di previdenza per pagare nonni e genitori. Non certo il loro futuro”.
Questa notizia dovrebbe farci riflettere sui cambiamenti in atto, sul fatto che i sindacati tradizionali non hanno ancora compreso l’importanza della tutela del nuovo soggetto centrale del paradigma produttivo della post-modernità, il precario, e che se non tentiamo di rappresentarci noi stessi e non proviamo a portare avanti le istanze di rivendicazioni di base per la vasta gamma di soggetti che rientrano nella categorie della precarietà, non ci sarà nessuno altro a farlo.   
Proprio perché il fordismo-taylorismo è terminato assieme al 20esimo secolo, bisogna prendere atto che la situazione sociale è completamente cambiata e non si può non prendere atto del passaggio del testimone epocale che è avvenuto senza dubbio almeno dai primi anni ’70: il soggetto centrale motore del cambiamento, la nuova figura destinata a rappresentare gli sfruttati, non è più l’operaio-massa della Fiat e dei grandi complessi industriali ma è ormai rappresentata da quello che alcuni marxisti eretici avevano chiamato “l’operaio-sociale” già nei primi anni ’70.
L’operaio sociale è forte e presente più che mai, deve solo ancora acquisire la coscienza di classe. Chi è l’operaio sociale oggi? E’ il precario. Oggi, nella società della post-modernità, il precariato è ormai una condizione diffusa e provata per almeno un periodo della propria vita anche dai pochi che sono riusciti successivamente a lavorare con forme contrattuali più tutelanti sul piano dei diritti, cosa comunque ormai rarissima. Personalmente però credo che non sia la precarietà in sé a costituire il problema principale, non so quanti vorrebbero tornare al vecchio posto fisso, garantito ma spesso noioso e frustrante, ammesso sia possibile nell’economia globale in cui viviamo e in un mondo dove la precarizzazione del lavoro, dei diritti, delle libertà è in piena attuazione, in un sistema economico che fa dello sfruttamento più brutale la sua caratteristica principale, in una finanza sempre più virtuale. In Italia la sinistra, sindacati in testa, non riesce ancora a capire il cambiamento radicale del paradigma e continua perciò a giocare in difesa per quanto riguarda le politiche del welfare, concentrandosi esclusivamente su lotte per difendere conquiste antiche e legittime e oggi sotto attacco, come il continuo slittare in avanti dell’età pensionabile, l’orario di lavoro nelle fabbriche… Siamo d'accordo e saremo sempre pronti a lottare per difendere le conquiste storiche del movimento operaio come avverrà a Roma sabato prossimo con la manifestazione della Fiom, ma dobbiamo rilanciare rispetto alle nuove figure del lavoro. Gran parte delle risorse destinate al welfare sono spese per le casse integrazioni, per sussidi di disoccupazione a cui i precari non potranno nemmeno aspirare mai a chiedere, perché le caratteristiche per accedervi sono legate all’economia fordista del secolo precedente, non contemplano i contratti atipici cui sono sottoposti i nuovi precari e sono praticamente disegnati per tipologie di lavoratori corrispondenti ad un modello economico ormai superato. Oppure si spendono miliardi per la formazione professionale che spesso consiste in corsi di formazione fantasma o nel migliore dei casi, inutili, quando non sia invece puro sfruttamento gratuito di manodopera altamente scolarizzata, che per tentare di entrare nel mondo del lavoro ormai passa da un master (a pagamento) a uno stage gratuito sempre più spesso.
Nell’epoca dell’operaio sociale non è più la produzione materiale di beni fisici l’elemento centrale dell’economia, ma la produzione intellettuale ed il lavoro cognitivo. I precari di oggi assorbono conoscenze e saperi e li diffondono nella società, perciò producono ricchezza, contribuiscono all’arricchimento generale. Gli individui nel loro vivere insieme producono ricchezza, e se tutti noi provochiamo ricchezza mentre viviamo, cooperando tra di noi nei più svariati campi, è giusto che tutti noi riceviamo un compenso per questa ricchezza prodotta tramite la cooperazione. Mentre viviamo produciamo saperi, conoscenze, raffiniamo tecniche collettive, produciamo valore.
Si tratta perciò di elaborare un nuovo welfare, che ruoti intorno all’idea di una società solidale. Le nuove tecnologie possono aiutarci a lavorare meno e ad avere più tempo libero. Ad esempio i servizi di cura alle persone devono essere intensificati, è assurdo che i nostri anziani debbano passare la vecchiaia in strutture tristi e alienanti, mentre potrebbero godere del calore di una comunità che li circonda.  
I precari sono ormai sempre di più e una delle prime rivendicazioni di questo blocco sociale deve essere il reddito di cittadinanza. Il reddito di cittadinanza o di esistenza dovrebbe, conformemente al paradigma attuale, essere diritto di tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro situazione lavorativa. Questo per le ragioni sopra esposte, oltre che per altri motivi che è troppo lungo qui illustrare. Certamente però sarebbe velleitario cercare di passare dal regime attuale di assenza totale di supporto finanziario ai precari e di mezzi che li tutelino nei periodi di disoccupazione forzata, al reddito di cittadinanza universale. Bisognerà passare per delle fasi intermedie che contemplino inizialmente solo un reddito minimo per tutti coloro che si trovino senza un’occupazione, per qualsiasi motivo e indipendentemente dal lavoro svolto o meno in precedenza, per cui ad esempio lo studente che esce dall’università e magari dal dottorato, non deve poi accettare anni di stage non pagati o borse di studio mortificanti, master ultra-costosi per poi magari doversi arrendere e fare il cameriere nel week-end fino ad abbandonare tutto perché con le mance guadagna molto di più e anche lui in fondo magari nel frattempo si è formato una famiglia. Tutti coloro che hanno la partita Iva, nuova frontiera dello sfruttamento, dovrebbero poter contare su un minimo income nei periodi di crisi, tutti coloro che lavorano a progetto o con contratti a tempo devono avere la garanzia di una continuità nel loro reddito, così da eliminare gli aspetti più deleteri della precarietà: l’incertezza esistenziale, l’angoscia per il futuro…………
Sul piano pragmatico il reddito di cittadinanza è un’opzione realizzabile, e una sinistra che voglia ritrovare una ragione di esistenza dovrebbe puntare molto sull’istanza del reddito per tutti i disoccupati, nella cornice di un progetto complessivo per un nuovo welfare che prenda atto del cambiamento del paradigma lavorativo e produttivo. Il terzo settore, il settore della cura alle persone, dell’ assistenza sociale e della solidarietà potrebbe diventare un settore che crea lavoro e benessere per tutta la società.    
D’altra parte l’esistenza di un reddito di cittadinanza, ma anche solo di un semplice reddito minimo garantito come primo passo, avrebbe effetti positivi anche per i lavoratori dei settori tradizionali del lavoro materiale, perché non ci sarebbero più i tanti disperati che oggi accettano un lavoro per pochi soldi: se una persona riceve una cifra al mese, difficilmente sarà disponibile a farsi sfruttare per meno o per la stessa cifra o anche per una leggermente superiore. In questo modo molti dei conflitti tra poveri che caratterizzano le società moderne e l’Italia in modo particolare scomparirebbero.
Questa misura così importante potrebbe essere sovvenzionata da una tassazione sulle rendite da introdurre, tagliando dalle spese militari, combattendo seriamente il lavoro nero e l’evasione fiscale.
Fatte queste considerazioni teoriche, credo che esista ormai oggi una vasta area culturale, politica e sociale che con una sempre più diffusa consapevolezza, si batte per il raggiungimento di un allargamento del welfare e per una sua innovazione alla luce dei cambiamenti avvenuti nel paradigma produttivo. Cominciamo a far sì che la discussione diventi centrale sui mass-media mainstream oltre che sul web, elaboriamo una piattaforma rivendicativa da sottoporre a sindacati tradizionali e di base, creiamo nuove alleanze con altre realtà di precari organizzati e mettiamo queste istanze all’inizio della nostra agenda politica. L’obiettivo minimo da raggiungere nella fase attuale è quello di un assegno per tutti i disoccupati, a prescindere dai contratti che abbiano avuto in precedenza. Questa misura è già presente in tutta Europa e solo Italia e pochi altri non prevedono tale fondamentale ammortizzatore sociale: poniamolo al vertice delle nostre rivendicazioni, iniziando a sottoporlo a realtà istituzionali che avrebbero il potere di cominciare a disegnare il cammino per arrivare a tali conquiste! Continuità di reddito per i precari! 

Un pò di satira in questi giorni tristi, dove tutto cambia per rimanere uguale........

Sampietrino ha fatto il miracolo

di Michele Serra
(23 dicembre 2010)
Manifestazione del 14 dicembre 2010
Manifestazione del 14 dicembre 2010
Il ritorno degli scontri di piazza non ha colto di sorpresa gli studiosi del paranormale, l'unica disciplina in grado di interpretare gli avvenimenti italiani degli ultimi 30 anni. "Quello che è accaduto è semplice", ci spiega il professor Giorgio Mobilius, preside della Facoltà di Occultismo di Lugano: "A causa di un'eccezionale fenomeno cosmico, un fascio di fotoni partito da Sirio ha colpito proprio il vostro Paese, fermando il tempo al 1981. Per la precisione alle 18 e 26 del 14 maggio, mentre Bruno Vespa dedicava la prima copia del suo primo libro a una contessa romana alcolista e Dalla e De Gregori partivano per la loro prima tournée. Nel resto del mondo il tempo è andato avanti, da voi no".

Coincidenze quasi incredibili sembrano rafforzare l'ipotesi. La polizia scientifica ha accertato che uno dei sampietrini usati contro la polizia è lo stesso lanciato dall'autonomo Gigi Stramone contro l'agente della Celere Gennaro Piriniello proprio quel giorno del 1981. E la cosa più singolare è che a lanciarlo, trent'anni dopo, è stato il figlio di Stramone, e a riceverlo in testa il figlio dell'agente Piriniello. 

Altro indizio sconcertante: poco distante dal luogo dei recenti scontri c'era un concerto di Dalla e De Gregori, identico a quello del 1981. E Bruno Vespa stava firmando una copia del suo nuovo libro alla stessa contessa alcolista! "Avrebbe dovuto essere morta da tempo", incalza il professor Mobilius, "a causa della cirrosi avanzata. Come mai è ancora viva? Ovvio: perché il tempo si è fermato". Identico, trent'anni dopo, anche lo stipendio dei celerini, che su decisione di Tremonti sono pagati ancora in lire.

Significativa la storia di quel sampietrino, ricostruita dai Ris di Parma. Dopo gli scontri del 1981 fu abbandonato in un cumulo da usare per la sistemazione del selciato. Una delibera dell'allora assessore Mencaccioni stabilì che doveva essere risistemato, ma trent'anni dopo l'appalto non era stato assegnato e il sampietrino era ancora lì. Senza saperlo, il figlio dell'autonomo che lo aveva lanciato trent'anni fa lo ha raccolto e nuovamente lanciato. E il nuovo assessore, figlio del vecchio assessore Mencaccioni, ora dovrà dare applicazione alla delibera di suo padre risistemando il sampietrino prima che, tra circa trent'anni, il nipote dell'autonomo Stramone lo raccolga nuovamente e lo rilanci sulla 

testa del nipote dell'agente Piriniello.

Dalle fotografie dell'epoca si è scoperto che gli avventori seduti al tavolino del bar Rosati, che assistono agli incidenti del 1981 mangiando un tramezzino, assomigliano in modo impressionante agli avventori ripresi dalla tivù due settimane fa. Sono gli stessi avventori, bloccati nel tempo? Sono i loro figli? Anche il tramezzino è lo stesso di allora, come dimostra la smorfia di disgusto del cliente che lo addenta. 
Divisa la classe politica. Ignazio La Russa giudica "risibile l'ipotesi che il tempo si sia fermato. Lo dimostra il fatto che trent'anni fa ero tra gli arrestati, e oggi sono ministro". Dubbioso Walter Veltroni: "È vero, oggi come trent'anni fa riordino i miei album di figurine. Ma oggi senza occhiali non ci riuscirei". Incredulo il papa, che giudica improponibile l'idea che la storia si sia fermata al 1981. "In Italia è ferma dal1545, Concilio di Trento".

I ragazzi del movimento, agghiacciati all'idea di essere dei cloni dei loro genitori, o addirittura i loro stessi genitori congelati nel tempo, hanno confrontato le immagini di allora e di oggi, e si sono accorti che l'abbigliamento è identico. Sola differenza il prezzo dei caschi, triplicato. Per voltare davvero pagina, andranno al prossimo corteo in giacca e cravatta. Le ragazze in gonna scozzese e calzettoni al ginocchio.

mercoledì 15 dicembre 2010

la 'ndrengheta in Lombardia, il PdL e la Lega...e la Boccassini


Leggendo il seguente articolo del "Fatto Quotidiano"mi viene da pensare. Intanto, che la Lombardia è sotto il controllo completo delle mafie. Abbiamo visto come la 'ndrangheta in particolare ormai ne controlli il territorio in modo capillare, e ci sono state addirittura guerre interne per "trasferire" la capitale, il centro decisionale delle 'ndrine, dalle roccaforti storiche della Calabria a Milano. Guerre destinate a intensificarsi, perché ormai la 'ndrangheta è troppo forte in Lombardia, dove ci sono tanti soldi, e dove hanno trovato tanti politici e colletti bianchi, spesso insospettabili, quasi tutti dell'area PdL, ma con un massiccio coinvolgimento anche della Lega Nord, che li sostengono o addirittura si alleano organicamente.  Poi mi viene da pensare che le campagne isteriche razziste contro gli immigrati che sono il cavallo di battaglia della Lega Nord, servono non solo a prendere voti facili parlando al peggio che alberga negli animi umani, spesso in quelli dei più indifesi culturalmente, ma anche a coprire l'incapacità di contrastare il vero problema, cioè l'infiltrazione continua delle mafie nel tessuto sociale, politico, produttivo.... della Lombardia. Infine che la Boccassini è un grande magistrato,  a cui va tutta la solidarietà della gente onesta, che quando arresta i mafiosi è brava e il governo si vanta degli arresti (senza fare mai il nome del magistrato ovviamente), ma quando inquisisce e mette sotto processo Berrlusc0ni e il governo la chiamano "toga rossa"...... 
‘Ndrangheta, Ilda Boccassini denuncia
l’omertà degli imprenditori milanesi
Domani la Dda di Milano invierà la richiesta di giudizio immediato per 174 persone arrestate nella maxi operazione 'Crimine' lo scorso luglio. Il pm: "Nel capoluogo lombardo pochi denunciano di essere vittime di estorsione e usura"
La Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Milano inoltrerà domani la richiesta di giudizio immediato per 174 persone arrestate lo scorso luglio nel corso della maxi operazione che ha decapitato i vertici della ‘ndrangheta in Lombardia. Lo ha annunciato il procuratore aggiunto Ilda Boccassini in una breve conferenza stampa a Palazzo di Giustizia tenuta insieme al procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati, quello di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, il procuratore aggiunto per Reggio Calabria Michele Prestitino e il capo della Dda calabrese, Nicola Gratteri. Tutti gli imputati sono stati arrestati nel maxi blitz condotto a luglio nell’ambito dell’operazione “Infinito” a Milano e “Crimine” a Reggio Calabria. L’inchiesta, è stato ricordato più volte oggi, è nata dalla stretta collaborazione tra i due capoluoghi. “La sinergia – ha sottolineato Pignatone – è del resto la carta vincente per sconfiggere un’organizzazione come la ‘ndrangheta che ha capacità espansiva in molti territori, nel Nord Italia, ma anche in Svizzera, in Germania, in Olanda, in Canada e Australia”. “Mai ci potrà essere contrasto – ha aggiunto Ilda Boccassini – tra le due procure che lavorano in piena sinergia con le forze dell’ordine”.

La richiesta di giudizio immediato, con cui si salta la fase dell’udienza preliminare, riguarda fra gli altri il presunto boss della ‘ndrangheta in Lombardia, Giuseppe ‘Pino’ Neri, e Pasquale Zappia, che avrebbero diretto la cupola lombarda dopo la morte del boss Carmelo Novella. Fra gli arrestati per cui è stato chiesto il rito immediato ci sono i numerosi boss delle 15 ‘locali’ sparse tra Milano, la Brianza, il Comasco e Pavia, che sono state individuate dagli inquirenti con l’operazione Infinito-Crimine. Tra gli imputati c’è anche l’ex direttore sanitario della Asl di Pavia, Carlo Chiriaco, ritenuto dagli investigatori una “figura emblematica” della infiltrazione delle cosche nel mondo istituzionale.

Invece, come ha spiegato Boccassini, le posizioni degli indagati per l’omicidio del boss Novella, avvenuto nel 2008, sono state stralciate e per loro si procederà con la chiusura delle indagini e la richiesta di rinvio a giudizio. Come ha spiegato il procuratore della Repubblica Pignatone, invece, la parte dell’inchiesta coordinata dalla Dda di Reggio verrà probabilmente chiusa a gennaio con il deposito degli atti e la richiesta di rinvio a giudizio. “Il ramo reggino è più indietro – ha spiegato Pignatone – anche per problemi di organizzazione delle risorse”.

In conferenza stampa Ilda Boccassini, che aveva coordinato l’operazione ‘Crimine’, ha lanciato un allarme sull’”omertà” degli imprenditori milanesi: “Nonostante il maxiblitz che nel luglio scorso ha portato a decine di arresti tra Milano e Reggio Calabria, nel capoluogo lombardo gli imprenditori non denunciano di essere vittime di episodi di estorsione e usura”. “A Milano – spiega Boccassini – non risultano denunce di imprenditori. Non possiamo immaginare che, dopo l’operazione ‘Crimine’, i fenomeni di estorsione e usura siano stati eliminati. Nonostante l’operazione di luglio e di interrogatori di persone che hanno ammesso i fatti – insiste il magistrato – non ci stanno pervenendo denunce. Questo è un dato sintomatico di cui dobbiamo prendere atto”. “Non abbiamo davanti alla porta – continua il pm- una serie di persone che chiedono di parlare con noi e denunciare usure, danneggiamenti, incendi, strane sparizioni nei cantieri che, pure, sappiamo esistono ancora, perché le stiamo monitorando”.

Neppure le associazioni di categoria sembrano essere di aiuto alla magistratura sul fronte della lotta alla criminalità organizzata. Diversamente da quanto avvenuto a Palermo, dove Confindustria ha fornito un apporto decisivo per far emergere il fenomeno del racket, “né a Milano, né a Reggio Calabria – afferma Boccassini – ci sono esperienze simili”. Oltretutto, il pm sottolinea che “in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, è molto più facile per la criminalità agganciare chi è in difficoltà”. “Dobbiamo cercare di capire perché nessun imprenditore denuncia”, conclude Boccassini.

L’attenzione dei mass media rispetto al fenomeno della ‘ndrangheta “è importantissima e quasi decisiva – ha affermato il procuratore capo di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone – perché peggio di tutto è il silenzio”. Il magistrato, in particolare, ha fatto riferimento al grande spazio che hanno avuto sui giornali le recenti inchieste delle Dda di Milano e Reggio Calabria a contrasto della mafia calabrese e delle sue infiltrazioni nel Nord Italia. “L’attenzione mediatica – ha ribadito Pignatone – è molto importante, perché in questo modo l’opinione pubblica può rendersi conto che esiste il problema, e serve anche a Reggio Calabria”.

Riguardo al presunto coinvolgimento di alcuni politici nella recente inchiesta ‘Infinto’ della Dda di Milano e alle polemiche su alcune affermazioni dei giorni scorsi, il procuratore della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, ha spiegato oggi ai cronisti che “si chiacchiera molto, ma noi lavoriamo sui fatti”. Il procuratore aggiunto Ilda Boccassini ha chiarito che con la ‘discovery’ degli atti dell’inchiesta che c’è stata, i giornalisti possono sapere “chi è stato sfiorato dall’inchiesta e chi si è incontrato con Tizio e con Caio”. Entrambi i magistrati hanno ribadito che la Procura lavora “sui fatti”.
Dal sito web di "Il Fatto Quotidiano" del 15/12/2010

martedì 14 dicembre 2010

Berlusconi salvo per 3 voti! 314-311

Roma 14/12/2010 - Scontri studenti e forze dell'ordine

14-12-2010 SCONTRI A ROMA - CLASHES IN ROME - Ⓐ

The Clash Guns Of Brixton

FRANCESCO GUCCINI - LA LOCOMOTIVA (1972)

Berlusconi ottiene la fiducia anche alla Camera con 3 voti di scarto
Rissa in aula dopo il voto della finiana Polidori a favore del Governo.
Per tre voti di scarto Silvio Berlusconi incassa la fiducia anche alla Camera dei Deputati. Una maggioranza risicatissima, che non garantirà governabilità e che spingerà a un rimpasto dell’esecutivo, ma lo scontro con il nemico Gianfranco Fini è stato vinto dal premier proprio grazie alle finiane Polidori e Siliquini che hanno votato no alla mozione di sfiducia sostenuta da Futuro e Libertà. Alla fine il risultato è 314 a 311, con due astenuti.

La giornata è cominciata alle 9 in Senato con le dichiarazioni di voto. A seguire le votazioni con due “chiame”. Come previsto il risultato al Senato è arrivato poco dopo le 11 e, sempre come previsto, il Governo ha incassato la fiducia a Palazzo Madama con 162 voti a favore. Alle 13.43 anche alla Camera il governo ha ottenuto la fiducia con 314 voti contro i 311 espressi a favore della sfiducia.

Domenico Scilipoti e Massimo Calearo hanno votato contro la sfiducia al governo nell’Aula della Camera. Contro la sfiducia ha votato anche Bruno Cesario. Alla votazione erano presenti in tutto 627 deputati, ma i votanti sono stati 625, in seguito all’astensione dei deputati della Svp. Quando il presidente Gianfranco Fini ha proclamato il risultato della votazione si è scatenato un applauso. Dai banchi di Pdl e Lega si è subito urlato in coro “dimissioni, dimissioni!”. A seduta sospesa si è sentito cantare l’Inno di Mameli. Contro la sfiducia e quindi a favore della maggioranza hanno votato i 235 deputati del Pdl; i 59 della Lega, 11 di Noi Sud (non ha votato Antonio Gaglione); Francesco Nucara, Francesco Pionati, Maurizio Grassano , Gianpiero Catone, Maria Grazia Siliquini, Catia Polidori, Domenico Scilipoti, Bruno Cesario e Massimo Calearo, A favore della sfiducia si sono espressi i 206 deputati del Pd; i 22 dell’Idv; i 35 dell’Udc; 31 di Fli (non ha partecipato al voto Silvano Moffa e come detto all’ultimo momento Siliquini e Polidori si sono schierate con il centrodestra); i 6 di Api; i 2 Liberaldemocratici; i 5 Mpa e Giorgio La Malfa, Giuseppe Giulietti, il rappresentante della Valle d’Aosta Rolando Nicco e Paolo Guzzanti. Astenuti infine i due esponenti della Svp. Come prassi non ha votato il presidente della Camera Gianfranco Fini.

Dopo il voto alla Camera il segretario del Pd Pierluigi Bersani ha riunito i vertici del partito a Montecitorio. Alla riunione sono presenti tra gli altri Massimo D’Alema, Walter Veltroni, Beppe Fioroni, Dario Franceschini. Mentre Gianfranco Fini ha riunito Futuro e Libertà subito dopo la bocciatura della mozione di fiducia a Montecitorio. Nello studio del presidente della Camera, Bocchino; Briguglio; Granata; Napoli; Bellotti; Barbareschi; Germontani; Rosso e altri finiani.

I commenti dell’opposizione

Proprio il presidente della Camera Fini ha commentato l’esito del voto: “La vittoria numerica di Berlusconi è evidente quanto la nostra sconfitta, resa ancor più dolorosa dalla disinteressata folgorazione sulla Via di Damasco di tre esponenti di Futuro e Libertà. Che Berlusconi non possa dire di aver vinto anche in termini politici sarà chiaro in poche settimane”.

Critiche anche dal segretario del Pd, Pierluigi Bersani: “E’ una vittoria di Pirro, abbiamo il governo Scilipoti-Razzi, si è verificata una vicenda totalmente scandalosa di compravendita di voti, che consegna al Paese un governo più debole e un’opposizione piu’ampia, e l’esecutivo e’ nella palese impossibilita’ di dare una rotta”. E sugli stessi toni si è espresso il segretario dell’Idv, Antonio Di Pietro: “Al di là del computo dei venduti, c’è una sconfitta politica del governo e dunque il premier deve prendere atto che la maggioranza politica non c’è più”. Dunque – ha proseguito Di Pietro -  “il premier e’ a un bivio: restare dov’e’ con un governicchio per avere il lodo Alfano o andare dal presidente della Repubblica e avviare la crisi per verificare se c’e’ una maggioranza politica”. In caso contrario, “si va al voto e per noi prima ci si va e meglio è”.

Il futuro della maggioranza

Se il Pdl esulta alla notizia della fiducia conservata – il ministro Romani è andato persino ad abbracciare Giampiero Catone dicendogli “maggioranza risicata ma sufficiente per andare avanti” – l’alleato leghista comincia a fare sentire i propri mugugni. Già stamattina Umberto Bossi diceva: “Il voto è l’unico modo per portare igiene in questo casino”. E sulla stessa linea si è fatto sentire anche il ministro Maroni: ““Meglio vincere che perdere. Oggi abbiamo chiuso il primo tempo di una partita che però non si è conclusa. Se Berlusconi riuscirà ad allargare la maggioranza ai moderati, al fischio finale della partita – ha continuato -  potremo continuare a governare. Se non riuscirà a farlo, bisognerà andare al voto”.
Dal sito web di "Il Fatto Quotidiano" 14/12/2010

La prova provata di quello che sappiamo da anni: Berlusconi usa la sua carica politica per fare i propri interessi a discapito degli Italiani

La legge Romani e' un rischio per la libertà del web e 

lunedì 13 dicembre 2010

Sull'idiozia fondamentalista e mafiosa del proibizionismo


Contro la follia del fondamentalismo

Introduzione al Quaderno Viaggio nella Canapa.
A cura di Grazia Zuffa e Franco Corleone
Da quando il movimento per la marijuana medica ha assunto dimensioni internazionali, travalicando i confini degli Stati Uniti, Lester Grinspoon, il maggior esperto mondiale sulla canapa, non ha bisogno di presentazioni. Tuttavia, è affascinante ripercorrere la sua storia. Medico, psichiatra, è stato docente alla prestigiosa Medical School dell’Università di Harvard. Come spiega nel saggio iniziale di questo volume (Odissea della canapa), cominciò a studiare la canapa fin dagli anni Sessanta, quando si ripromise di scrivere un articolo scientificamente fondato a sostegno della tesi della pericolosità della canapa: erano gli anni della diffusione della marijuana nei campus studenteschi e Grinspoon pensava che un intervento su basi scientifiche avrebbe avuto un effetto dissuasivo più efficace dei richiami moralistici o della propaganda politica. Andò diversamente: più allargava e approfondiva la ricerca, più lo studioso americano si avvicinava alle conclusioni opposte: «Cominciai a pensare che le mie conoscenze erano largamente basate su miti, vecchi e nuovi - scrive Grinspoon nel saggio già citato - e che la mia formazione medica e scientifica ben poco mi aveva tutelato dalle informazioni distorte».
Il suo primo scritto, uscito nel 1968, e poi il libro Marijuana Reconsidered riflettevano le sue scoperte: a confronto con altre sostanze psicoattive e anche con altri farmaci moderni considerati sicuri, quali l’aspirina, la canapa è una sostanza assai più sicura. Queste conclusioni fecero scalpore, naturalmente nell’America culla del proibizionismo: ma come, un docente di Harvard, un’autorità indiscussa in campo scientifico osava sostenere che la canapa era meno pericolosa dell’alcol e del tabacco?
Se pensiamo che la stessa tesi, sostenuta trent’anni dopo dall’accademico di Francia Bernard Roques, ha di nuovo suscitato scandalo, meglio si capisce il coraggio politico e la statura umana, oltre che scientifica, di Lester Grinspoon.
Non a caso, nella sua storia, l’impegno di ricerca si intreccia con la pratica clinica e la militanza politica. Grinspoon è sempre stato in prima linea nell’assistere i tanti pazienti che a lui si rivolgono per avere le informazioni sulla canapa, spesso rifiutate dai medici curanti. Il sapere proveniente dalle testimonianze dei malati è la base dell’altra famosa opera, Marijuana, the forbidden medicine. Grinspoon ha sempre difeso il valore delle evidenze aneddotiche a sostegno delle proprietà terapeutiche della canapa, anche in assenza di sperimentazioni cliniche controllate: è questa una delle sue argomentazioni preferite, ampiamente documentata in questo volume (cfr. Una ricchezza da sfruttare).
Si farebbe torto a Lester Grinspoon a confinarlo al tema della canapa medica. La sua ricerca procede a tutto campo, così come a tutto campo è iniziata. Particolarmente interessante, a questo proposito, è la sua tesi circa la versatilità, com’egli la chiama, della marijuana, che non può essere circoscritta ai soli usi ludico e medico. C’è un terzo campo, di “potenziamento” delle facoltà umane (sensorie, di pensiero, dell’umore), che sta a cavallo fra i due, altrettanto fertile. Anche per questo, Grinspoon è scettico circa la possibilità, o l’opportunità, di scindere la battaglia per la legalizzazione degli usi terapeutici da quella per la decriminalizzazione della canapa. Così come non si è mai stancato di denunciare che i tentativi di creare farmaci derivati dalla canapa in alternativa alla marijuana, sono in realtà un «artefatto della proibizione». Da qui la polemica degli ultimi anni contro la «farmaceutizzazione» della canapa, com’egli la definisce; in particolare, contro la pretesa superiorità del Sativex (un farmaco creato dalla casa britannica G.W. Pharmaceuticals) sulla canapa inalata o fumata (cfr. Il fumo è la migliore medicina).
La «medicalizzazione» o «farmaceutizzazione» della marijuana è un nodo politico cruciale, che vede opinioni differenti all’interno dello stesso movimento antiproibizionista; Fuoriluogo vi ha dedicato un dibattito con molti interventi, a partire dal 2001. Ma già due anni prima, Giancarlo Arnao aveva aperto il confronto con un articolo dal suggestivo titolo Liberare le droghe. Anche dal potere medico: commentando uno scritto di Thomas Szasz, egli individua i pericoli della «medicalizzazione» delle droghe, che rischia di sostituire una forma di controllo (quella poliziesca), con un’altra, più sottile ma anch’essa insidiosa (quella dei camici bianchi). Arnao rivendicava l’uso della cannabis non come espressione di un disagio, ma come un’esigenza connaturata all’essere umano. Questo problema abbraccia l’intera problematica droga, interessata a fondo dal ben conosciuto fenomeno di “patologizzazione della devianza”, e si riflette anche sul tema specifico degli usi medici della canapa: ha senso legittimare l’uso medico, mantenendo l’intolleranza, morale e penale, nei confronti degli usi non medici della canapa? E ancora: è possibile separare nettamente la funzione psicoattiva da quella terapeutica, privando il farmaco-canapa delle proprietà euforiche della marijuana?
Come si è detto, Grinspoon non ha incertezze nel tenere insieme le due funzioni; così come nel legare i diversi aspetti della medesima battaglia (cfr. Anche lo high è terapeutico). Nell’intervista A carte truccate, di nuovo auspica la crescita di un movimento di pressione delle persone che usano la marijuana come terapia per rovesciare del tutto il proibizionismo. «La marijuana medica - sostiene - insegnerà alle persone che questa sostanza non è l’erba diabolica che il governo ci ha descritto per anni».
Uno dei leit motiv dell’autore è la denuncia della persecuzione dei consumatori americani, una vera e propria caccia alle streghe responsabile fino ad oggi dell’arresto di 12 milioni di cittadini. La polemica attuale di Lester Grinspoon contro il fondamentalismo dei teocon di Bush è coerente con l’impegno di una vita per smascherare le menzogne che hanno imposto una «follia di massa» sulla canapa; e per denunciare l’asservimento al potere della scienza, o almeno di molti, troppi, sedicenti scienziati.

La collaborazione di Lester Grinspoon con Fuoriluogo e con Forum Droghe ha avuto inizio grazie ai rapporti con il mondo americano di Giancarlo Arnao, nel 1998, con la pubblicazione del primo dei suoi fondamentali contributi sulla canapa, sulle sue applicazioni terapeutiche, sulle conseguenze della proibizione. Si tratta del drammatico processo contro un cittadino americano, arrestato in Malesia per possesso di marijuana, da lui utilizzata per curare il dolore cronico: Grinspoon racconta la sua testimonianza in tribunale in qualità di esperto internazionale di canapa medica, nel tentativo di salvare l’infelice che rischiava fino alla pena di morte. L’attività di consulente nei tribunali statunitensi fa parte della sua militanza politica: nonostante i pronunciamenti popolari che hanno imposto a molti stati americani di decriminalizzare la marijuana ad uso medico, il governo, appellandosi alla legge federale, ignora le leggi statali e continua a perseguitare i malati e i medici: così come attesta la testimonianza giurata nel caso Ashcroft versus Raich, anch’essa riportata in questo volume.
Nel 1999, esattamente il 29 ottobre, Forum droghe organizzò a Bologna un incontro pubblico con Lester Grinspoon: fu un primo importante incontro fra lo studioso americano e l’intero movimento antiproibizionista italiano. Introduceva il seminario lo stesso Giancarlo Arnao, responsabile scientifico dell’associazione, un anno prima della sua scomparsa: a Giancarlo dobbiamo la spinta politica per dare avvio anche in Italia alla battaglia per la canapa medica.
Da allora, il tema della medicina proibita è diventato centrale nella riflessione del giornale e strategico nell’azione politica di Forum Droghe: alla fine degli anni Novanta, fu pubblicato un quaderno di Fuoriluogo con la traduzione italiana del rapporto britannico della Camera dei Lord, che avallava autorevolmente le sperimentazioni con la canapa medica; nel 2000, durante la Terza conferenza nazionale sulle tossicodipendenze, fu presentato un altro quaderno speciale, il Libro Bianco sugli usi terapeutici della cannabis, preludio alla costituzione di un’associazione specifica. Negli anni successivi, altri gruppi e movimenti di pazienti sono scesi in campo, rivendicando il diritto alla cura.
Sulle droghe, e sulla canapa in particolare, i cinque anni del governo Berlusconi, con l’approvazione in extremis del decreto Fini-Giovanardi, hanno riportato l’Italia indietro di decenni. La svolta impressa alla legislazione italiana pone il nostro paese alla retroguardia dei paesi europei. Il cardine attorno a cui ruota la nuova legge consiste nella codificazione dell’uguaglianza delle diverse sostanze psicoattive, all’insegna del principio ideologico «la droga è droga». È un approccio fondamentalista che non tollera distinzioni, interpretate come “eresie” al credo proibizionista. Anzi, la condanna più dura, prima morale e poi penale, è proprio rivolta alle droghe leggere, alla canapa, la pianta “corruttrice” delle menti e dello spirito. Nella relazione al decreto Fini-Giovanardi è indicato a chiare lettere l’obiettivo di impedire qualsiasi utilizzo della canapa, perfino dei farmaci derivati, a fine terapeutico: l’esclusione del principio attivo dalla tabella II (dove sono elencate le sostanze di valore medico) ha voluto - si dice - «eliminare il riferimento, foriero di equivoci, ad ipotetici prodotti farmaceutici a base di cannabis, non presenti nella Farmacopea ufficiale italiana» (sic!). Questa nuova norma di preclusione è stata varata nonostante le molte iniziative istituzionali trasversali prese fra il 2000 e il 2006: ricordiamo le mozioni di ben sei Consigli regionali (Basilicata, Friuli - Venezia Giulia, Lombardia, Sardegna, Toscana, Umbria) e di diversi Consigli provinciali e comunali, per sollecitare il Parlamento a discutere le proposte di legge nazionali per inserire nella Farmacopea i derivati della canapa (dronabinol e nabilone); per facilitare l’importazione di farmaci derivati disponibili in molti paesi europei; per promuovere sperimentazioni.

Con la vittoria dell’Unione, si è aperta in Italia una fase nuova. Il 18 luglio 2006, la Ministra della Salute, Livia Turco, ha emanato un’ordinanza per autorizzare «l’importazione di medicinali a base di delta-9-tetraidrocannabinolo o trans-delta-9-tetraidrocannabinolo per la sommnistrazione, a scopo terapeutico, in mancanza di alternative terapeutiche, a pazienti che necessitano di tali medicinali»: è un primo passo per rimediare ai danni della Fini-Giovanardi, sulla scia di nuove iniziative regionali e locali.
In Toscana, sta per iniziare la discussione di un progetto di legge che, tra l’altro, propone la sperimentazione della canapa terapeutica; in Liguria, il 18 agosto 2006, il Consiglio regionale ha dato il via libera alla sperimentazione del farmaco Bedrocan, contenente derivati naturali della cannabis. Il farmaco è commercializzato nelle farmacie olandesi già dal 2003. Il documento impegna la Giunta alla promozione di «una forte azione istituzionale» verso il Ministero della Salute con lo scopo di facilitare l’uso, nelle terapie del dolore, di farmaci contenenti derivati sintetici della cannabis, agevolando «le procedure previste per l’impiego»; all’approvazione di norme che consentano «la sperimentazione ad uso terapeutico dei derivati naturale» della canapa; ed infine all’invio di circolari e direttive ai medici di base, alle Asl e a tutte le strutture competenti «per agevolare l’impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore».
Anche il Consiglio regionale del Lazio, nel luglio 2006, ha approvato un ordine del giorno che impegna alla sperimentazione della canapa terapeutica. È stata anche depositata una proposta di legge, prima firmataria Anna Pizzo, che fissa le linee della sperimentazione.
Infine, ma non meno importanti, le iniziative parlamentari: già all’inizio della legislatura, presso la Camera dei deputati, è stata depositata una proposta di legge con oltre trenta firme (Atto Camera n. 34, primi firmatari Marco Boato, Carlo Leoni, Ruggero Ruggeri, Graziella Mascia, Enrico Buemi) che prevede la depenalizzazione completa del consumo di tutte le sostanze, compresa la coltivazione domestica della canapa e la cessione gratuita, una efficace politica di riduzione del danno e alternative al carcere per i tossicodipendenti. È inoltre imminente una iniziativa legislativa del Ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, sulle identiche linee di intenti, con una indicazione esplicita di regolazione dell’uso terapeutico della canapa. Le scelte dell’Italia potrebbero favorire il ruolo dell’Europa per una strategia globale più tollerante e intelligente, lasciando alle spalle la fallimentare “guerra alla droga”, così come auspicato dalla Raccomandazione del Parlamento europeo approvata alla fine del 2004.
La riforma della normativa italiana sulle droghe potrà finalmente dare una risposta al movimento, assicurando il diritto alla cura ai malati costretti alla clandestinità, offrendo nuove opportunità ai tanti pazienti che ancora oggi ignorano le potenzialità della canapa. Una sostanza che, come non si stanca di ripetere Lester Grinspoon, sarà prima o poi salutata come un farmaco eccezionale, al pari della penicillina. Non resta che augurarci che avvenga al più presto.

Franco Corleone / Grazia Zuffa

domenica 12 dicembre 2010

Berlusconi, il controllo delle TV tradizionali e il Web.

Il governo, Internet, gli ascolti tv

IL governo Berlusconi non è certo amico di Internet e della banda larga. Forse perché Internet non è amico della televisione. Da novembre, Auditel fotografa le abitudini di quegli italiani che hanno in casa – oltre al televisore – anche una connessione alla Rete. Parliamo di 13,1 milioni di famiglie. Qual è la loro dieta, in termini di media?
La società “Barometro” di Luigi Ricci calcola che le famiglie Web guardano la televisione per 37 minuti in meno rispetto alle famiglie che non navigano (prime due settimane di novembre). Siamo di fronte all’equazione “più Web e meno tv”, dunque.
ReteUno soffre molto la concorrenza della Rete (intesa come Internet). Tra il popolo del Web, il più tradizionalista e rugoso canale della televisione pubblica registra una perdita del 4,46% di ascolti.
Ma soffrono anche due delle ammiraglie di casa Mediaset: Canale 5 lascia sul terreno quasi un punto percentale e Rete 4 ne lascia 1,63 (mentre Italia 1 ha più seguito tra quanti hanno Internet rispetto agli italiani senza: +1,44).
E’ logico pensare che – mentre Internet si fa media concorrente della tv – il management di Mediaset (come di ogni altra grande azienda) calcoli la “variabile politica”, oltre a quella tecnologica. Che cosa cambierà se e quando Berlusconi lascerà Palazzo Chigi?
garanzie
La domanda si fa più stringente perché il momento di più grande debolezza del Cavaliere (in politica) coincide con la grande debolezza di Mediaset e della stessa Rai, in termini di ascolti.

Guardiamo al periodo che più conta per la pubblicità. Nel periodo “di garanzia”, che va dal 12 settembre al 4 dicembre,  l’audience del duopolio è stato il più deludente degli ultimi dieci anni
Rispetto allo scorso anno, sono le reti Mediaset a soffrire di più, soprattutto nel prime time. Nel 2009, avevano il 38.1% di share, quest’anno sono al 34.5%.
Anche nel giorno (o day time), i dati non sono lusinghieri. Mediaset, dal 38.7% di share scende al 35.3%; mentre la Rai passa dal 38.4% del 2009 al 37.9% di questo autunno.
Dati che mettono un brivido a Viale Mazzini e a Cologno Monzese, quasi quanto la crisi politica che sta imperversando.

venerdì 10 dicembre 2010

Anche la Polizia protesta (per l'ennesima volta) contro il governo Berlusconi, il peggiore governo della storia della Repubblica


La polizia ai cancelli di Arcore
Proteste dei sindacati in tutta Italia ma Maroni preferisce non rispondere
“Il presidente non c’è, ma non importa. Sarete voi giornalisti a portargli il nostro messaggio”. A parlare così sono un centinaio di poliziotti che ieri mattina si sono dati appuntamento ad Arcore, davanti all’ingresso della villa di Silvio Berlusconi per protestare contro i tagli al comparto sicurezza. Il presidio, indetto a livello unitario dai sindacati di polizia, corpo forestale dello Stato, vigili del fuoco e polizia penitenziaria, è stato organizzato per denunciare ancora una volta quello che sta avvenendo.
Nonostante le rassicurazioni ricevute dalla maggioranza, gli agenti denunciano infatti, una situazione al limite della sopportazione. Solo in Lombardia, secondo i sindacati, mancano 5.000 agenti. La stradale è sotto organico del 45 per cento, la Polfer del 57 e la polizia postale addirittura dell’80. “Sta arrivando l’Expo e a Milano siamo scesi da 36 a 12 volanti. Manca anche il personale per sorvegliare aeroporti e stazioni ferroviarie”, denuncia Calderone, segretario lombardo del Sap.
“Il governo non ha presentato un emendamento che è fondamentale per tutelare la specificità del nostro lavoro – dice Mauro Guaetta, segretario del Siulp di Milano – dopo i due miliardi e mezzo di tagli, se non riusciremo ad uscire con le volanti e a organizzare la sicurezza in occasione di partite e manifestazioni, il problema sarà soprattutto dei cittadini”. “Nelle ultime Finanziarie i tagli sono stati di oltre due miliardi di euro – spiega Santino Barbagiovanni, segretario regionale Silp Cgil della Lombardia – e siamo al collasso. Oltre alla mancanza di personale dobbiamo anche fare i conti con il blocco degli stipendi. Se sono necessari straordinari per far fronte alla mancanza di personale, questi non vengono pagati”.

Non solo Arcore. Analoghe proteste sono andate in scena in tutta Italia: dal Senato alle questure, alle prefetture delle principali città. “Chiediamo solo di fare il nostro lavoro”, dicono all’unisono gli agenti davanti ai cancelli di villa San Martino. Nel mirino, oltre ai tagli, ci sono le promesse non mantenute dalla maggioranza. “E se non possiamo credere all’esecutivo non possiamo credere più a nessuno”, dice Giuseppe Tiani, segretario generale del Siap. “Il governo ha vinto le ultime elezioni soprattutto sulla sicurezza – afferma Piergiorgio Panzeri, segretario nazionale del Sap – ma è un paradosso: è più di un anno che tutte le nostre richieste vengono disattese e questi tagli smantelleranno definitivamente le forze di polizia”.
Gli agenti si sentono abbandonati e traditi dall’esecutivo. “Maroni rivendica gli importanti colpi inflitti alla criminalità organizzata – continua Panzeri – ma quei successi sono solo merito nostro e della magistratura”. Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa penitenziari rincara: “È appropriazione indebita. Quando Alfano, Maroni o Berlusconi rivendicano come loro meriti la lotta al crimine, io, fossi un magistrato, procederei contro di loro. Se in questo paese ancora si arresta e si sorveglia è solo per la nostra grande professionalità”.

Nelle patrie galere la situazione è al collasso. Oltre ai tagli, gli agenti penitenziari devono fare i conti con il pesante sovraffollamento. “Mancano addirittura i mezzi per il trasferimento dei detenuti dalle celle alle aule dei tribunali – prosegue Sarno –. A San Vittore per ogni mille detenuti abbiamo due pullman e due furgoni. Il risultato è che alcuni processi non vengono celebrati perché non riusciamo a portare i reclusi al Palazzo di Giustizia”.

Disagi condivisi anche dai vigili del fuoco. “Siamo scesi in piazza assieme agli agenti di pubblica sicurezza perché la loro battaglia è anche la nostra – dice Vincenzo Reina, segretario del sindacato autonomo Co.Na.Po. della provincia di Milano – A Milano noi pompieri utilizziamo delle autoscale con 35 anni di vita che hanno ancora la guida a destra”. Persino le guardie forestali denunciano una carenza di organico operativo di oltre il 35 per cento. “Il risultato di questa situazione – spiega Fabio Cantoni, segretario regionale del Sapaf – è un rischio soprattutto per la difesa dell’ambiente”.

La giornata di ieri è solo una tappa in vista della manifestazione nazionale del 13 dicembre davanti a Montecitorio. I poliziotti non si fermano, ma nessuno sembra ascoltarli. Ieri pomeriggio, a Roma, il ministro dell’Interno e il capo della polizia hanno presentato il calendario 2011 della Polizia.

Più volte sollecitato dal Fatto sulle ragioni della protesta, Maroni ha scelto di non rispondere. Secondo Manganelli, invece, il merito della polizia è anche quello di lavorare con le risorse disponibili: “I nostri sindacati protestano come quelli delle altre categorie. La sicurezza dei cittadini non è in discussione”. Peccato che le risorse, secondo gli agenti, siano davvero finite.

di Lorenzo Galeazzi e Silvia D’Onghia dal Fatto Quotidiano del 08 dicembre 2010