mercoledì 30 marzo 2011

Sull'idiozia e malafede dei "complottisti" per professione, generalmente dell'area dei "rosso-bruni".Fuori i fascisti dal dibattito!


Voglio tornare con una riflessione sulla Rivoluzione Egiziana: ancora oggi ci sono dei personaggi che vedono complotti ovunque, e spesso non certo per amore di verità, ma per cieca ideologia. Sulla Libia non voglio entrare più di tanto nel merito perché anche io come la brava Lia di cui riporto questo bellissimo post, (che smaschera la malafede dei "complottisti" di professione), ma sull'Egitto che è la mia seconda patria, che conosco così bene dal 1991 e che ho visto evolversi, mutare, regredire e poi progredire durante i numerosi anni della mia vita passati al Cairo e in parte nei villaggi della campagna del sud Egitto, non tollero speculazioni perché conosco molto bene la genuinità della Rivoluzione e di chi l'ha compiuta. 

Chi mi legge ed è antifascista (spero tutti!) può capire la mia rabbia di fronte a tale malafede e ignoranza: è come se ci dicessero che la Resistenza italiana al nazi-fascismo fosse stata tutto un complotto americano e i nostri eroici partigiani (a proposito ieri ho fatto la tessera dell'Anpi!), delle semplici inconsapevoli pedine. Non è un caso infatti che le tesi "complottiste"  trovino particolare diffusione negli ambienti dell'estrema destra: sia quella più becera sia quella che si illude di essere intellettuale o che addirittura strizza l'occhio a certa estrema sinistra, i cosiddetti rosso-bruni. I rosso-bruni in particolare, eredi dei nazi-maoisti dello stragista Freda, sono una vera iattura: ambienti perennemente inquinati da rapporti loschi con i Servizi Segreti, sono i peggiori supporter della causa palestinese e delle cause per l'autodeterminazione dei popoli, il loro comunitarismo è una finzione nazista per richiamare o allocchi che non capiscono o altri delinquenti come loro. A questa gentaglia suggerirei di non farsi più vedere negli ambienti della solidarietà al popolo palestinese che danneggiano e basta e nei movimenti di sinistra in generale perché non ci casca più nessuno: possono pure usare tutte le denominazioni "quasi-rosse" del mondo, possono fingersi militanti di cause popolari come nel campo dell'ambiente, ecc.  ma non ci ingannano, fascisti sono fascisti resteranno, ed il loro ambiente naturale sono le fogne. I fascisti sono da escludere dal discorso politico e basta, non devono avere alcun tipo di agibilità, politica, culturale. "Smash the fascism" !

Dal blog: http://www.ilcircolo.net/lia/

(blog molto interessante e che segnalo) 

No, il complotto no!

Io di Libia non so niente e sono in ottima e numerosa compagnia. Mi volete dire che c’è la guerra civile? D’accordo. Che va tutto bene? Eh. Che c’è il complotto dell’Occidente contro Gheddafi? Fate voi. Attingiamo tutti alle stesse fonti: ognuno si faccia la sua idea e poi, prima o dopo, qualcuno ci racconterà come è andata. Magari scopriremo che aveva davvero ragione Gheddafi e che ai giovani libici è stato effettivamente versato un pentolone di LSD nella colazione, ed è per questo che sono agitati. Chennesai.
Sull’Egitto, invece, direi che dovremmo avere tutti le idee più chiare. E invece no: ti guardi in giro, certe volte, e ti domandi se il pentolone di LSD non sia finito pure nel cappuccino di qualche italiano, ché sennò non te lo spieghi.
Ieri, per dire, c’era uno che sosteneva su FriendFeed che, secondo lui, gli egiziani avevano fatto la rivoluzione perché invidiosi dello stato democratico raggiunto dall’Iraq. Una cosa tipo: “Ah, beato l’Iraq che è un paese felice, stabile, democratico dove tutti convivono in pace e scelgono i propri rappresentanti che li tutelano e sono pieni di diritti, ma che culo che ci hanno ‘sti iracheni e noi invece no.” Sì, in effetti. E’ il faro del mondo arabo, l’Iraq. Il modello della gioventù araba tutta.
O, più probabilmente, i neocon si drogano moltissimo: io l’ho sempre sostenuto, del resto.
Sul fronte opposto, ma a bagno nello stesso pentolone di LSD, ci sono quelli che in Egitto è stato tutto un complotto degli USA e non bisogna quindi gioire per gli egiziani ma, al contrario, dispiacersi un mucchio per loro. La teoria piace a diversi nemici acerrimi dei neocons, ma il suo campione italiano, a quanto scopro sia da Leonardo che nei commenti del mio stesso blog, sarebbe un giornalista del Giornale, Marcello Foa. Uno a cui, peraltro, gli egiziani stavano sulle scatole da un pezzo, visto che già un anno fa titolava “E ora basta compiacenze con l’Egitto!”
L’idea sarebbe questa: gli USA avrebbero scoperto il sistema per spingere intere popolazioni – parliamo di numeri enormi, milioni di persone – a sollevarsi contro i loro dittatori. E’ come avere i superpoteri: basta guerre, basta invasioni, niente più occupazioni, non c’è bisogno di spedire manco un elicottero: una bella ipnosi di massa tramite Facebook ed è fatta.
Quello che non si capisce, e vorrei tanto che i complottisti me lo spiegassero, è come diavolo gli viene in mente, agli USA, di usare questo po’ po’ di superpoteri contro i governi che gli sono amici, invece che contro quelli nemici. Non contro l’Iran. Non contro Gaza. Persino la Siria tace, ed è tutto dire. No: gli USA starebbero rovesciando l’Egitto. La Tunisia. Il Barhein. La Giordania. Lo Yemen. Tra un po’ pure l’Arabia Saudita. No, ma spiegami. Trovami una logica.
E spiegatemi pure cosa c’entra Qaradawi, nel complotto americano.
A meno che non vogliamo fare il complottismo del complottismo: che Barak Obama, con quel suo bel nome arabo e la pelle scura, non sia in realtà un moro infiltratosi nel cuore del potere americano. E allora, vabbe’: il complotto è arabo, non americano, e un nuovo panarabismo si è intascato la Casa Bianca. L’idea è suggestiva, e mi pare persino più realistica del suo contrario.
Più semplicemente, a me pare che ci sia un sacco di gente che non è psicologicamente preparata a immaginare un mondo dotato di dinamiche proprie, spesso caotiche e imprevedibili. C’è bisogno di immaginare una sorta di grande controllore onnipotente, che sia Dio o gli USA poco cambia: uno che faccia succedere le cose in base a un disegno più o meno imperscrutabile. Per una sua volontà che un giorno capiremo.
E’ estremamente reazionario, il complottismo applicato alla rivoluzione egiziana: in un colpo solo, assolve noi imbelli dalla colpa di essere un popolo sempre più suddito dei poteri di casa nostra e toglie dignità, merito e persino umanità ai milioni di egiziani che hanno rischiato tutto e si sono messi in gioco uno a uno, in questa rivoluzione, e continuano a farlo mentre noi siamo qua che chiacchieriamo. Certo: come immaginare che gli egiziani possano avere dell’autodeterminazione? Impossibile, è stato Obama che li ha ipnotizzati via Facebook. Del resto sono arabi e, come è noto, gli arabi mica sanno pensare con la testa loro…
Via con le cazzate, quindi: con Foa che si chiede come abbia fatto Ghonim a pagarsi i 10 euro di benzina che servono per raggiungere Doha da Dubai. Con la delegittimazione di Maher e Ghonim che, in quanto idealisti e spontanei, dovrebbero dimostrare di essere anche cretini, privi di reddito e incapaci di progettare azioni politiche di grossa portata, ché se ci riescono è perché c’è del marcio sicuramente. Come se, chessò, ai padri della nostra Resistenza fosse stato richiesto di essere degli sprovveduti. Come se non stessero facendo politica da anni, quelli del Movimento 6 aprile. Ed è lo stile del Giornale applicato agli egiziani: ci manca che ci si interroghi sul colore dei loro calzini, sui baci dati in passato, sulle case prese in affitto. Conosciamo il metodo.
O con i commentatori che vengono a difendere Gamal Mubarak sul mio blog paragonando il suo discredito alla bufala dei neonati tolte delle incubatrici in Kuwait, nientedimeno. Gamal Mubarak!
E la cosa che mi spaventa è che si potrebbe leggere come fuoco amico, questo. Gente che non immagini reazionaria né antiaraba, il più delle volte. E quindi, per quanto mi dispiaccia, torno a pensare quello che ho già scritto mille volte, su questo blog: che la storia araba, il mondo arabo, il popolo arabo non sono altro, per molti di quelli che apparentemente li sostengono, che pedine di un risiko tutto loro, fantasmi di un immaginario politico che li vuole strumenti e non protagonisti.
Ci dispiace tanto, la rivoluzione non è stata religiosa. L’ha fatta un popolo che èanche musulmano ma la cui identità non è riducibile a una mera appartenenza religiosa. Hanno chiesto dignità e diritti, non uno Stato islamico. E credo che abbiano fatto benissimo, anche dal punto di vista religioso: l’islam, ridotto a politica, diventa un pantano di ipocrisia. Meglio proteggerlo, e pazienza se si dà un dispiacere a chi non sa trovare idee migliori per giocare a fare l’antisistema.

LO STRAPPO DEL DOTT. ABUL FUTOUH, L'ESPONENTE PRINCIPALE DELL'AREA RIFORMISTA DEI FRATELLI MUSULMANI


Dal blog di Paola Caridi: www.invisiblearabs.com segnaliamo questo importantissimo articolo, che se confermato, cambierà la storia moderna del movimento dei Fratelli Musulmani. Ovviamente torneremo prestissimo sull'argomento con novità e alcune riflessioni. 
La notizia era nell’aria da giorni, ed è diventata realtà appena son partita dal Cairo. La spaccatura nella dirigenza dei Fratelli Musulmani ha ora un nome e un cognome. Si chiama Abdel Moneim Abul Futouh, quello stesso medico, capo dell’Unione araba dei medici, di cui avevo parlato in un capitolo di Arabi Invisibili. Abdel Moneim Abul Futouh si è staccato dai Fratelli Musulmani, ha rivendicato la sua indipendenza e si accinge a far politica fuori dall’Ikhwan. Unpartito, forse la stessa candidatura alla presidenza della Repubblica. E se così fosse, se Abul Futouh si presentasse alle presidenziali, i giochi sarebbero ben più complessi di prima, perché ai candidati più in vista, tra un Mohammed el Baradei in crisi di consenso e Amr Moussa che ha ancora un credito di popolarità, si inserirebbe una figura molto conosciuta, in Egitto. E la nascita di un altro partito di ispirazione islamista, il partito del Rinascimento Egiziano, porterebbe almeno a tre le formazioni politiche nate dalla Fratellanza Musulmana. Oltre al partito ufficiale, Libertà e Giustizia, anche quello centrista dei vecchi fuoriusciti che qualche anno fa avevano dato vita al Wasat.
La notizia è stata smentita da Abul Futouh nel tardo pomeriggio di oggi, dopo che era stata pubblicata anche da Al Dustour. Lo ha comunicato anche Abdelmoneim Mahmoud, blogger e giornalista di area islamista, che però pone dubbi sulla stessa smentita, perché il comunicato dovrebbe essere arrivato da fonti vicine ad Abdel Moneim Abul Futouh [grazie, Mohammed]. La smentita n0n cambia né il ruolo di Abul Futouh né i rapporti incrinati dentro la Fratellanza Musulmana, tra le diverse ali del movimento.
Quello che è certo è che la ruggine che per anni ha diviso l’ala conservatrice e l’ala riformatrice della Fratellanza Musulmana è ora divenuta fatto compiuto. Separazione. Ed è avvenuta ora, la separazione, perché non c’è più il regime, e dunque il nemico che, almeno formalmente, unisce tutti attorno a un obiettivo comune. Quando, con la libertà, è giunto anche il momento di formalizzare la rappresentanza politica dell’Ikhwan, movimento socio-religioso, ecco che le diverse anime della Fratellanza sono venute in superficie.
Che Abdel Moneim Abul Futouh non fosse in buoni rapporti con la nuova dirigenza dell’Ikhwan emersa dall’elezioni di Mohammed Badie, poco più di un anno fa, era apparso subito chiaro. Per anni era stato proprio Abul Futouh il candidato d’eccellenza alla ‘guida suprema’, ma la sua successione era stata messa da canto con una sorta di strano blitz dal quale l’anima conservatrice era emersa vincente. Abul Futouh era appena uscito dall’ospedale in cui aveva trascorso in pratica tutti i sei mesi di detenzione imposti dal regime di Hosni Mubarak (da giugno a novembre 2010), guardato a vista da una decina di uomini della sicurezza dello Stato, appena al di là della porta della camera di ospedale. Appena uscito, il suo ruolo all’interno dell’Ikhwan era apparso sempre più isolato. Eppure, è proprio Abul Futouh l’unico leader di mezza età che è riuscito negli anni a mantenere legami strettissimi con i giovani islamisti. I giovani islamisti che, assieme ai loro amici e sodali della sinistra  e dell’area laica hanno fatto la rivoluzione a piazza Tahrir.
Era la stessa sua storia personale ad aver decretato questo legame, nel corso degli anni. Lui stesso leader degli studenti islamisti negli anni Settanta, era stato poi il referente dei nuovi giovani. Non solo. È stato Abul Futouh a raccontarmelo in una lunga intervista che gli ho fatto nel suo studio di Qasr el Aini, dopo il referendum costituzionale del 19 marzo, nel quale si era schierato per il sì, ma non perché fedele alla richiesta della dirigenza dell’Ikhwan. “A piazza Tahrir c’erano tre dei miei figli. Uno, Ahmed, considerato tra i ‘ragazzi’ più in vista”. Forse anche per questo contatto famigliare con i giovani di Tahrir, Abul Futouh aveva considerato importante non solo “ascoltarli, ma anche interagire”. Lo ha fatto sin dall’inizio, scontrandosi da subito con una dirigenza, quella dell’Ikhwan, che ha prima sottostimato la protesta iniziata il 25 gennaio, per poi cercare un guadagno politico che non ha mai coinvolto del tutto le richieste che venivano dal movimento di Tahrir. Ora Abul Futouh si stacca dal movimento che, ufficialmente, sta dando vita a un altro partito politico, Libertà e Giustizia, espressione dell’Ikhwan, e la decisione del leader riformista avrà sicuramente un effetto all’interno dei giovani islamisti, che stanno causando da settimane un’emorragia di consensi dalla casa madre. Aderiranno al partito di Abu Futouh? Ne formeranno un altro a se stante? Si spaccheranno anche loro tra riformatori e conservatori? Tutto da vedere.
Per ora, Abdel MOneim Abul Futouh scherza sulle semplificazioni giornalistiche. Lo hanno definito l’Erdogan egiziano. E lui mi risponde, in un inglese molto migliorato dall’ultima volta che l’ho visto, “Semmai è Erdogan a essere l’Abul Futouh turco. Io sono più vecchio di lui”. Si può interpretare in due modi: che l’ala riformista dell’Ikhwan egiziano ha una sua storia nazionale che vuole essere riconosciuta. E poi: che i modelli come quello turco vanno bene, ma l’Egitto è Egitto.
Lo strappo, dunque, è arrivato alla fine di una lunga storia. E  le smentite di Abu Futouh non intaccano la sostanza della questione. I Fratelli Musulmani si presenteranno divisi, alle elezioni. La vera pressione pericolosa è quella dei salafiti, cresciuti all’ombra del regime. Ma questo è un altro capitolo, ancora più complesso, che bisognerà analizzare con attenzione.

venerdì 25 marzo 2011

La scienza boccia nettamente l'idiozia probizionista

Diamo la parola alla scienza contro le mille bugie e mistificazioni del proibizionismo.



Dal sito www.fuoriluogo.it


Se la scienza boccia il proibizionismo

LA BECKLEY FOUNDATION PRESENTA UNO STUDIO DI VALUTAZIONE DELLE POLITICHE INTERNAZIONALI DELLA CANNABIS
Fonte: Fuoriluogo, di Grazia Zuffa 26/10/2008
Agli inizi di ottobre, è stato presentato a Londra nella prestigiosa sede della Camera dei Lord il rapporto sulla canapa della Beckley Foundation, redatto da una Commissione speciale composta da esperti internazionali al più alto livello. La mission della Beckley Foundation è gettare un ponte fra la ricerca e coloro che devono prendere le decisioni politiche, offrendo materiali e spunti di riflessione sostenuti da evidenze scientifiche: il rapporto sulla canapa si propone di operare una valutazione sull’efficacia delle politiche globali di proibizione. Sulla base dei dati e delle evidenze raccolte dagli studiosi della Commissione speciale, il responso sulle attuali politiche è netto: non ci sono evidenze a supporto delle attuali politiche, mentre molte sono le conseguenze negative. Non c’è prova che lo strumento penale serva a contenere i consumi, mentre chiaramente «provoca danno alle tante persone che vengono arrestate, e spesso la repressione è applicata ingiustamente a sfavore dei giovani e delle minoranze etniche». Da qui la raccomandazione: passare dalla proibizione ad un sistema di controllo e di regolazione legali, seguendo l’obiettivo di minimizzare i danni per la salute e dunque prevenendo i comportamenti più rischiosi (l’uso intensivo quotidiano, l’uso in età precoce, la guida in stato di intossicazione). ?È il rilancio della legalizzazione, non come tema “ideologico” (come ormai da diversi anni si usa dire), ma come tema scientifico, attraverso un’accurata revisione delle più recenti ricerche e studi di valutazione.
Non sfugga l’originalità, finanche l’audacia dell’approccio: non solo perché il dibattito politico-mediatico si concentra unicamente sulla nocività della sostanza (in particolare sul rapporto con la malattia mentale), trascurando i malanni delle politiche; ma anche perché il “pugno duro” gode ancora di una certa popolarità presso l’opinione pubblica – riconosce onestamente il rapporto. Siamo ad uno stallo: ai radicali cambiamenti nei mercati e nei consumi dai tempi in cui il sistema di proibizione fu varato, non corrisponde alcuna innovazione politica, almeno a livello globale.
A Vienna, nel marzo 2009, i capi di governo di tutto il mondo si riuniranno per la valutazione decennale della strategia antidroga lanciata all’assemblea generale dell’Onu del 1998. Si può perdere questa occasione per rilanciare la riforma delle politiche sulla canapa? Per la Beckley Foundation non si può e il rapporto vuole essere un sasso nello stagno di Vienna.
Vediamo più da vicino in che cosa consiste lo “stallo”. In primo luogo, persiste, in certi casi si accentua, il divario fra scienza e politica. Un caso emblematico è la vicenda della classificazione del dronabinolo (il Thc sintetico): in parole povere, il principio attivo della canapa. Come si sa, le sostanze vietate dalle convenzioni internazionali hanno in genere un uso medico, dunque sono inserite nelle tabelle a seconda del loro valore terapeutico. Poiché la questione riguarda il campo sanitario, la competenza tecnica circa l’inserimento o lo spostamento delle sostanze nelle tabelle è in capo alla Oms, mentre alla Cnd (Commission on Narcotic Drugs), l’organismo politico cui partecipano gli stati membri, spetta la ratifica formale. Nel 2002, la Oms raccomandò lo spostamento del dronabinolo dalla tabella II alla IV, ossia alla tabella meno restrittiva, in seguito ad una attenta rivalutazione del valore medico della canapa. Ma il direttore dell’agenzia Onu sulle droghe persuase la dirigenza dell’Oms a non inoltrare la raccomandazione alla Cnd per «non mandare il messaggio sbagliato». La Oms ripiegò sulla strategia dei piccoli passi e nel 2006 chiese di riclassificare il dronabinolo nella tabella III. Alla Cnd del 2007, chiamata a prendere la decisione finale, lo Incb (International Narcotics Control Board) attaccò la raccomandazione. Lo Incb è l’organismo deputato a sorvegliare l’applicazione delle convenzioni internazionali e non ha alcun compito né competenza scientifica in merito agli usi medici delle sostanze psicoattive: ciononostante, la Cnd rinviò il parere alla Oms perché lo rivedesse «in accordo con lo Incb».
Ancora più clamorosa è la decisione del governo britannico di riclassificare la canapa contro il parere dell’organismo di consulenza scientifico del governo stesso, lo Acmd (Advisory Council on the Misuse of drugs). Nel 2004, dietro indicazione del suo organo tecnico, il Regno Unito aveva spostato la canapa nella tabella C (alleggerendo così l’impatto penale sui consumatori). Da allora, il governo si è rivolto per ben due volte allo Acmd, spaventato dalla campagna allarmistica sulla canapa come causa di schizofrenia. E per ben due volte, lo Acmd ha riesaminato le più recenti evidenze, riconfermando la giustezza della classificazione della canapa come sostanza a minor rischio, fra quelle legali e illegali. L’ultimo documento dello Acmd risale all’aprile del 2008, ma poco tempo dopo Gordon Brown ha deciso di procedere lo stesso allo spostamento in classe B, col risultato di un sostanziale innalzamento delle pene.
Sfogliando il ponderoso rapporto, accanto ad argomenti noti quali la valutazione dei rischi farmacologici, troviamo spunti inediti. La canapa ha un impatto modesto sulla salute pubblica: un recente studio australiano ha cercato di comparare il peso negativo della canapa in confronto ad altre sostanze, attribuendole il punteggio più basso (0,2%) rispetto al 2,3% per l’alcol e al 7,8% per il tabacco. Il mercato della canapa ha caratteristiche diverse da quello di eroina e cocaina perché la sua produzione non è concentrata in zone ristrette bensì diffusa in 134 paesi, fra cui molti dei paesi occidentali dove si consuma. È diffusa anche l’auto-coltivazione. In larga parte la sostanza circola attraverso le reti amicali: una ricerca americana del 2006 mostra che la maggioranza dei consumatori acquista la canapa da amici (l’89%) o la ottiene da loro gratuitamente (59%). Ciò riconferma che la canapa è ormai ritualizzata come droga ricreazionale in occasioni sociali, in maniera sempre più simile all’alcol.
A questo quadro di “normalizzazione” sociale, fa da contraltare una sproporzionata pressione repressiva. In tutto il mondo si arresta di più per la canapa che per le altre sostanze, unanimemente considerate più pericolose: ad esempio, in Australia nel periodo 1995-2000, gli arresti per canapa costituivano i tre quarti del totale degli arresti per droga; in Germania, nel 2005, sono stati il 60% del totale, mentre gli arresti per il solo consumo di canapa assommavano al 45% del totale. Non solo: la pressione poliziesca è aumentata dagli anni ’90 in poi, sia nei paesi del “proibizionismo totale”, come gli Usa, sia (sorprendentemente) in quelli che hanno cercato vie più “morbide” per l’uso personale (eliminando il carcere e ricorrendo a multe o altre sanzioni amministrative). Anzi, sembra proprio che ci sia un comportamento delle forze dell’ordine atto a “controbilanciare” l’alleggerimento penale: è il fenomeno del net widening (“allargamento delle reti”) per catturare un maggior numero di consumatori.
Il quesito chiave per superare l’impasse riguarda il ruolo che la repressione gioca rispetto al contenimento dei consumi: gli arresti servono a scoraggiare i consumatori? Abbiamo evidenze che la punizione sia più efficace a ridurre i consumi di un sistema di depenalizzazione o decriminalizzazione dell’uso personale? Sembrerebbe di no anche se sono pochi gli studi condotti sinora in questo campo. Nel 2004, fu pubblicata una ricerca condotta dai sociologi Reinermann e Cohen su due campioni paragonabili di consumatori di Amsterdam e San Francisco, in due paesi dalle politiche opposte. I modelli di consumo risultavano largamente simili, suggerendo la limitata rilevanza delle politiche penali nel modulare i consumi ? (cfr. Fuoriluogo, settembre 2004).
Interessante anche l’analisi sulle misure di “proibizionismo parziale”, con la sostituzione di sanzioni civili al posto di quelle penali. Se si evita il danno del carcere, rimane pressoché intatto lo stigma del drogato, con i problemi sul lavoro e in famiglia in cui il consumatore può incorrere. Senza contare che la depenalizzazione dell’uso da sola non influisce sulla deregulation dei mercati illegali, dunque rimane la preoccupazione per la salute dei consumatori. Basterà il responso della scienza a smuovere le acque com’è nell’auspicio della Beckley? «La repressione è un articolo di fede per la maggioranza dei politici», ha detto qualcuno alla presentazione del rapporto. Difficile ahinoi dargli torto.
Grazia Zuffa

LEGALIZE CANNABIS

Questo è un blog "eretico", dove voglio dare spazio a tutte le forme alternative di società, agli ideali di cambiamento, alle rivendicazioni di nuovi e vecchi diritti. Per questo l'antiproibizionismo è un tema che troverà parecchio spazio. Pensiamo infatti che la narrazione e l'approccio delle "war on drugs" siano le premesse che Reagan, ma ancor prima di lui Hoover e Nixon, hanno posto per creare quel clima di militarizzazione delle città e di internazionalizzazione delle forze con compiti di polizia, che è stato fondamentale per creare le società del controllo attuale, locale e globale.
Pubblichiamo qui un appello ad un convegno che si terrà Domenica 3 Aprile a Bologna e che ritorna sulla necessità di incominciare a spezzare il proibizionismo partendo dalla legalizzazione della cannabis, pianta innocua, dalle alte potenzialità mediche e anche per questo, ancora osteggiata da numerose lobby. Grossi progressi su questo fronte sono stati fatti sia a livello di legislazioni nazionali, che a livello culturale e scientifico.

Dal sito: http://retedeicittadini.it/?p=10557&cpage=1#comment-5733

Canapa: legalizziamo?


BASTA ESSERE CONSIDERATI CRIMINALI O PERICOLOSI DROGATI!
BASTA ARRICCHIRE LE MAFIE ED IL NARCOTRAFFICO!
BASTA PROIBIRE UNA PIANTA BENEFICA PER L’UOMO E PER L’AMBIENTE!
NON SIAMO TOSSICODIPENDENTI! NON SIAMO CRIMINALI!
ORA BASTA! FERMIAMO LA FOLLIA DEL PROIBIZIONISMO!
Con queste parole l’associazione ASCIA lancia l’appuntamento dell’Assemblea nazionale per la regolamentazione della coltivazione domestica della canapa
3 APRILE 2011 dalle ore 9,00, nella Sala Piazza in via Marco Polo n° 51 (presso il centro civico – zona LAME)
All’Assemblea, affermano gli organizzatori, parteciperà tutto il fronte antiproibizionista e sono stati invitati rappresentanti dei partiti politici d’opposizione, realtà sociali e sindacali, ricercatori ed operatori del settore ed anche le forze proibizioniste che per ora non ci hanno degnato di risposta.
Si invita tutta la cittadinanza interessata.
Cogliamo l’occasione per ricordare un appello della stessa associazione:
“NON SIAMO CRIMINALI. PRETENDIAMO GIUSTIZIA
A 50 anni dall’inizio del divieto mondiale della canapa (Single Convention on Narcotics, 1961) e a 5 anni dall’approvazione della modifica della legge sulle droghe voluta dal governo Berlusconi (“stralcio Giovanardi”, 2006, Legge 49/06 che ha modificato il DPR 309/90), è giunto il momento di porsi delle domande.
In nome di un teorico divieto a drogarsi, immense risorse vengono impiegate per mandare in carcere persone che hanno coltivato canapa per uso personale e intanto, nelle strade delle città di tutta Italia, la canapa (cannabis o “marijuana”) e i suoi derivati (hashish o “fumo”) sono reperibili con estrema facilità, spesso tagliati con sostanze chimiche misteriose e venduti a prezzi esorbitanti su un mercato nero fuori controllo.
Porre la canapa sullo stesso piano di tutte le altre sostanze vietate, inoltre, favorisce e asseconda, anche fra i giovanissimi, la diffusione di altre droghe illegali (cocaina, eroina, crack, amfetamine, ketamina, MDMA, etc…) e legali (alcol, tabacco, psicofarmaci) sicuramente più pericolose.
Così, mentre parte dell’economia legale si basa sulla pubblicità e sulla vendita di bevande alcoliche e sigarette, delle quali, peraltro, non sono noti gli ingredienti, sul mercato delle sostanze proibite fioriscono mafie di ogni genere, ingrassate dai milioni di euro che ogni giorno finiscono nell’economia illegale.
Le vittime di questo circolo vizioso sono onesti cittadini, studenti, professionisti, artigiani, operai, artisti, intellettuali, imprenditori, agricoltori e pensionati, che vengono criminalizzati per il semplice fatto di essere estimatori di una pianta.
Ora, se la criminalizzazione di un comportamento privato è una grave violazione delle libertà personali già di per sé inaccettabile, ancor più repressivo è l’accanimento della legge Berlusconi-Fini-Giovanardi contro chi ha deciso di coltivare canapa in proprio per non finanziare le mafie.
Per la legge italiana infatti, coltivare una pianta di canapa o possederne più della quantità massima prevista dalla legge equivale a spacciare e implica pene dai 6 ai 20 anni di carcere.”
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martedì 22 marzo 2011

Musulmani, destra e sinistra.




Un argomento che mi tormenta spesso è come mai tanti arabi, tanti musulmani e tanti stranieri, dopo aver subito il razzismo della Lega Nord e della destra italiana, una volta “inseriti”, o raggiunto un certo benessere…..sembrano quasi dimenticare tutto per spesso votare a destra. Ora, parliamoci sinceramente: anche molti immigrati che subiscono quotidianamente discriminazioni spesso molto gravi da uno o dei due, o entrambi i principali partiti di quella che si fa chiamare destra oggi nel panorama politico italiano -il PdL e la Lega Nord- pur consapevoli di ciò, esitano o sono riluttanti a schierarsi apertamente a sinistra, verso quella sinistra che è la parte politica che invece è più aperta alle diversità e ne coglie la ricchezza, la parte politica che difende i cittadini più deboli nella politica italiana di oggi. Proviamo con sincerità ad azzardare alcuni di quelli che possono essere i motivi di questo comportamento  contraddittorio e addirittura contro i propri stessi interessi. Da una parte c’è la dimenticanza, spesso, dei principi più alti come la solidarietà, la cooperazione tra esseri umani, l’uguaglianza, la fraternità….. come pesa una scarsa riflessione sui fatti storici che hanno portato alle definizioni di destra e di sinistra. Ci sembra evidente che le tre principali rivendicazioni della Rivoluzione Francese del 1789 - Libertà, Uguaglianza, Fraternità – la nostra stessa “fitra”, la nostra natura più vera, ce lo dice, siano pienamente ascrivibili ai valori fondamentali dell’islam e rispondano pienamente, in termini di “usul al fiqh”, di fondamenti del diritto, ai “maqasid al-shari’ah”, gli obiettivi del diritto.
La Rivoluzione francese uno degli eventi fondanti della storia della sinistra ed evento che diede origine alle definizioni di destra e sinistra. Fu a seguito dei moti francesi rivoluzionari del 1789 che si formò l'Assemblea Generale, destinata ad approvare il preambolo della futura legge fondamentale dello stato, la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, documento che riassunse al suo interno i valori del 1789, affermando in modo chiaro e puntuale i concetti di libertà e uguaglianza che avevano fino a quel momento guidato il moto rivoluzionario e diremmo “umanitario”, e che dovrebbero illuminare la vita e l’anima di ogni buon cittadino, qualsiasi sia il suo credo religioso o ideologico.
Nacquero ufficialmente la destra e la sinistra perché nei posti a destra della sala dell’Assemblea si sedevano i nobili e i membri del clero che avevano in principio cercato senza risultato di opporsi all'abolizione dell'Ancien Régime, mentre nel centro e a sinistra prendevano posto i rappresentanti del Terzo Stato e tutti i deputati contrari ai privilegi, a loro volta distinti fra repubblicani, liberali e democratici.
Le moltitudini oppresse che chiedevano libertà, uguaglianza, fraternità erano rappresentate dalla sinistra, mentre la destra, espressione del blocco di potere dominante si opponeva e cercava di restaurare gli antichi privilegi.
Certo destra e sinistra sono molto altro, ma senza pretendere di esaudire un argomento così ampio e così sensibile di dibattito, pensiamo che siano utili alcune riflessioni.
Quali sono state poi, le differenze che - a grandi linee - storicamente si sono sviluppate tra la destra e la sinistra?
Le destre nel loro sviluppo storico – è improprio parlare di una destra, così come di una sinistra, entrambi gli schieramenti hanno rilevanti opzioni differenti e spesso contrastanti al loro interno – hanno sempre dato la priorità alle merci e al denaro rispetto all’essere umano. Le sinistre hanno invece sempre messo in primo piano l’essere umano, la soddisfazione dei suoi bisogni, dei suoi diritti. 


La destra preferisce la competizione e lo sfruttamento di alcuni uomini su altri uomini mentre la sinistra ha tra le sue priorità la collaborazione la cooperazione tra esseri umani. Non sto esprimendo penso semplici pareri personali, ma dati di fatto credo, perché non c’è dubbio che il sistema capitalista globale in cui viviamo oggi sia un sistema di destra. Un sistema che ci ha fatti arrivare ad un mondo dove 1 uomo su 3 vive sotto la soglia di povertà, (1 dollaro al giorno), dove miliardi di persone non hanno accesso ai diritti di base, dall’acqua al cibo, dalla salute all’istruzione…..un mondo  diventato ontologicamente precario, dove l’esclusione di intere fasce di popolazione è sempre più praticata, dove il pericolo della caduta tra gli “esclusi” è sempre alla porta dell’angolo, un mondo basato sul consumo e non più sulla produzione, che cerca di nascondere gli esclusi dal consumismo, i consumatori difettosi, quando non cerca di combatterli.
 E dove può situarsi, se non a sinistra, una persona che aderisca ai valori di fratellanza, di giustizia sociale, di valorizzazione dell’essere umano tipici dell’islam, come anche di altre religioni, etiche personali e credi politici di fronte ad un sistema simile? Qual è, senza entrare nello specifico istituzionale, quell’area politico-culturale che si oppone a questa visione del mondo? Che pensa che l’uomo non sia nato per mangiare l’altro uomo, ma per cooperare con lui? Come è evidente l’area della sinistra, per come si è sviluppata nei secoli, è l’area politica che sta con i più deboli, con coloro che subiscono le ingiustizie, contro i ricchi, i potenti, coloro che possono compiere ingiustizie senza nemmeno il timore di essere puniti. Così è stato nel secolo XIX quando i primi operai, trattati come schiavi, riuscirono con lotte costate tantissime vite umane, a conquistare progressivamente una serie di diritti, dalle ore lavorate, al diritto di riunirsi, alla formazione di sindacati agli scioperi ecc. Lo stesso fu nel secolo XX, quando grazie alle lotte di milioni di esseri umani si è arrivati alla parità tra esseri umani, almeno dal punto di vista formale, alla conquista dei diritti umani, alle condizioni di lavoro e ai diritti dei lavoratori. Tutto questo è patrimonio della sinistra. Infine, ripromettendoci di tornare presto sull’argomento che merita ben più di un articolo: spesso tra i musulmani o tra gli appartenenti alle culture più tradizionali, il fatto che la sinistra genericamente difenda i diritti di coppie non sposate o dei gay è spesso visto come un problema. E qui dobbiamo davvero essere sinceri tra di noi: come possiamo pretendere diritti, sia come musulmani che chiedono una moschea, luoghi di incontro, rispetto …sia che la richiesta di diritti provenga da degli immigrati che ne sono privi, in quanto minoranza sgradita, se poi qualcuno tra di noi vuole negare dei diritti ad altri, in base ad un giudizio su loro comportamenti privati? Grazie a Dio viviamo in un Paese laico – immaginate se l’Italia non lo fosse e avessimo l’autorità papale – e la sfera pubblica è altra cosa. La laicità dello Stato rappresenta una garanzia di tutela dei diritti e delle libertà per ogni individuo e membro della società; il campo di intervento legislativo dello Stato deve limitarsi alla sfera pubblica, cioè a quegli atti che implicano conseguenze su eventuali terze persone, mentre non devono essere sanzionati i comportamenti individuali, attinenti la sfera privata, le cui conseguenze ricadono solo sullo stesso individuo. Una frase molto simile è già stata scritta, non dal sottoscritto, in questo blog, ed indicando uno dei fondamenti della libertà anche religiosa in Italia penso vada sottolineata e spero che anche i lettori di questo sito siano tutti d’accordo. Certo la laicità può essere declinata in differenti modalità, ma certo le destre, di ieri, oggi e domani, non la declinerebbero in modo favorevole ai musulmani….Ricordiamo tutti credo le strumentali e simboliche polemiche delle destre proprio sull’invenzione delle origini “giudaico-cristiane” - in chiave escludente ed anti-islamica-  dell’Italia e dell’Europa, a dimostrazione che l’attacco ai musulmani delle destre è in atto in tutto il Continente europeo: che siano le destre liberali e liberiste dei Sarkozy o dei Cameron o il loro rovescio della medaglia, le formazioni populiste nazi-fascistoidi che stanno purtroppo proliferando nell’Europa intera, l’attacco ai musulmani, alle minoranze, ai “diversamente bianchi” (tutti coloro che “sembrano” stranieri), agli immigrati, ai richiedenti asilo, ai poveri, a chi non si uniforma….da parte delle destre prosegue con violenza. Le modalità per far fronte a questi attacchi sono molte, sia sociali che istituzionali, ma presuppongono una presa di coscienza forte da parte delle comunità islamiche e di tutti coloro che in qualche modo fanno parte di quelli che vengono dal “Sud del mondo”, di tante persone che discutono con consapevolezza e che si sforzino di avere la lucidità mentale per comprendere che stiamo scrivendo la storia, perché siamo all’inizio di un’epoca nuova, e che tutti i cittadini con etica e valori che mettono al primo posto solidarietà e cooperazione devono schierarsi per creare un mondo migliore e più giusto. E questo culturalmente parlando, lo si può fare solo a sinistra. 

Paolo Gonzaga

lunedì 21 marzo 2011

IL COMUNISMO NON E’ MORTO. W IL COMUNISMO!


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IL COMUNISMO NON E’ MORTO. W IL COMUNISMO!
Io, aldilà da ogni retorica, non riesco a essere soddisfatto di un mondo in cui sono troppe e troppo forti le ingiustizie. Un mondo dove 1 uomo su 3 vive sotto la soglia di povertà, (1 dollaro al giorno), dove miliardi di persone non hanno accesso ai diritti di base, dall’acqua al cibo, dalla salute all’istruzione…Un mondo che non ha ancora capito che la guerra è una cosa barbara, che lo sfruttamento di uomini su altri uomini è scandaloso, dove il potere di una finanza quasi virtuale schiaccia popoli e vite umane....Un mondo  diventato ontologicamente precario, dove il pericolo della caduta tra gli “esclusi” è sempre alla porta dell’angolo, un mondo che cerca di nasconderli gli esclusi, se non di combatterli, perché simbolo di tutti i maggiori timori moderni, nuovi black goats, e quindi da non mostrare (infatti vedi le ordinanze contro accattoni, venditori ambulanti, immigrati ecc.), perché ricordano a tutti la precarietà della propria situazione e il rischio concreto che nella società dei consumi corre praticamente ogni individuo. Da questi ragionamenti mi balza alla mente che allora non viviamo nel migliore o anche nel “meno peggiore” dei mondi possibili, affatto. Come ci si può sentire pienamente a posto quando a miliardi di persone manca ogni cosa? Come si può pensare che questo sia il sistema che dovremo continuare a seguire silenziosamente per essere dei bravi cittadini? Bisogna immaginare un mondo diverso, senza nemmeno essere troppo sognatori, perché questa barbarie è nata a seguito di una ben precisa ideologia politico-economica, la più estremista pur tra quelle interne all’area dei teorici del libero mercato. La scuola keynesiana ad esempio era molto diversa, certo figlia di un altro tempo, e pur rientando nel sistema capitalista, non proponendo soluzioni comuniste, il sistema keynesiano era riuscito ad ispirare un’intera società del libero mercato dove però l’equilibrio con i poteri di tutela e garanzia dello Stato erano presenti e funzionanti, dove esisteva un welfare universale che garantiva l’essere umano dalle maggiori paure esistenziali – quella della povertà e dell’abbandono - e che conciliava un umanesimo di fondo assieme allo spirito della libera impresa, influenzato dalle pratiche socialiste che arrivavano da oltrecortina. Il capitalismo globale di oggi, come il modello keynesiano che ha segnato un’era,  sta segnando da tempo un’altra era.  Viene chiamato sistema neo-liberista proprio perché figlio dell’ideologia di una scuola, la scuola di Chicago, che predicava l’annullamento dello Stato e la privatizzazione di ogni cosa privatizzabile…sanità e istruzione inclusi, arrivando fino all’acqua! La finanza globale, con il fondamentale supporto del FMI e della Banca Mondiale, segue questa specifica scuola, vittoriosa dopo la caduta del Muro dell’89….Caduto il “socialismo reale”, il capitalismo non aveva più concorrenti finalmente e poteva mostrarsi con il suo vero volto…quello dello sfruttamento più selvaggio..in quegli anni nascono le “Free Area”, enormi aree mobili, che si spostano a seconda delle condizioni del mercato e delle indicazioni del FMI, concesse in uso temporaneo alle maggiori multinazionali dai governi della Cina, della Thailandia, della Malesia, del Bangladesh, del Pakistan, dell’India…..dove le multinazionali possono spremere generazioni di esseri umani, ridotti praticamente in schiavitù, in nome dei mercati internazionali. La finanza globale ha istituito la dittatura del Pil, quasi fosse un parametro magico indicatore di benessere diffuso…. Non stupisce che proprio i paesi dove il Pil era in crescita esponenziale quali la Tunisia e l’Egitto, siano stati proprio i primi paesi a scoppiare.  Ecco la dimostrazione che il Pil è uno pseudo-parametro che certo nulla  ha a che vedere con il benessere reale delle popolazioni,Perché è ormai chiaro e i popoli se ne stanno rendendo conto: le ricette del FMI e della Banca Mondiale, le stesse che ci hanno portato alla crisi, non sono più accettabili, perché dove applicate, hanno dimostrato di provocare un aumento mostruoso della povertà e l’arricchimento scandaloso di una piccola elite, con la progressiva scomparsa della classe media. Anche dal Sud America arrivano voci di speranza, numerosi ormai sono i paesi che collaborano in un mercato alternativo a quello che volevano imporre gli Usa, numerose sono le opzioni di sinistra che si presentano al governo ora in America latina, a cui guardare con attenzione, che possono disegnare nuove forme di rifiuto dello sfruttamento. E allora come ci poniamo noi in questo conflitto globale, tra le forze delle peggiori lobby, che trovano rappresentanza purtroppo nella nostra vita quotidiana sotto forma dello schieramento attuale delle destre  e che agiscono su scala globale in molteplici maniere, e la massa dei cittadini, che consapevoli a meno, sono coinvolti in questa guerra, perché le conseguenze peggiori della globalizzazione finanziaria e dello strapotere del neo-liberismo più estremista le pagano di solito i cittadini normali ovunque…..se a causa di speculazioni finanziarie, come sta accadendo in questi giorni, si alzano fino a oltre il raddoppio, i prezzi dei cereali e degli alimenti di base….milioni e milioni di persone che già vivono molto precariamente, spesso sotto dittature sanguinarie al servizio dei macro-interessi delle forze del neo-liberismo sono condannate alla fame, alla povertà estrema, alla sofferenza. Il neo-liberismo è innegabilmente tra i maggiori responsabili del disastro ambientale, del consumo folle dei beni della Terra e della loro privatizzazione a solo vantaggio dei vertici dell'"Impero". Il neo-liberismo è la principale causa delle guerre e dei continui micro-conflitti che costellano il pianeta, l'estrema competitività del sistema a la monetarizzazione di ogni bene sono le cause della svalutazione della vita umana a semplice soggetto di consumo.
E allora, se uno dei modelli del capitalismo, declinato tra l’altro secondo varie metodologie e livelli di intensità, fallisce clamorosamente ma pochi mettono in discussione il capitalismo come sistema di suddivisione e ripartizione delle ricchezze, perché il socialismo, che pur è stato declinato solo in alcune sue maniere, dovrebbe essere fallito nella sua interezza? Perché non potrebbero esistere altre tipologie di socialismo, come emerge in Sud America, che coniugano la giustizia sociale e la libertà individuale e collettiva, che provano e sperimentano nuove forme del Comune, tentando di superare l’alternativa Privato/Stato e promuovendo una nuova forma collettiva che sia basata appunto sul comune, sulla condivisione dei beni fondamentali e sull’intervento della società civile in nuove forme dello statale, quale i sindacati, le cooperative, l’associazionismo….Nuove letture di Marx sono possibili, tutta una serie di intellettuali ce lo stanno dimostrando in questi ultimi anni e nuove interpretazioni del suo pensiero sono realizzabili. Lotte di liberazione soffiano in tutto il mondo, il Nordafrica e il Medio Oriente bruciano sembrerebbe all'improvviso, società piegate dalle contraddizioni del capitalismo globale, nuove lotte si incarnano in pratiche diffuse di disobbedienza e rivolta.....nuove ma antiche rivendicazioni trovano espressione.... 
E’ partendo dalle tematiche della precarietà, ormai condizione ontologica del cittadino globale, e proseguendo sui sentieri intrapresi negli ultimi anni dai movimenti in Italia e in Europa, che bisogna partire. Nuovi soggetti, sempre più consapevoli dell’importanza dei temi del precariato e dell'esclusione stanno sorgendo. La battaglia per il reddito di cittadinanza, di esistenza, trova finalmente terreno fertile e nuovo entusiasmo, diventando una rivendicazione sempre più concreta e di cui si discute a livello popolare ed anche a livello istituzionale in tutta Europa.... Nuove lotte attorno ai diritti di base come la casa, i trasporti, lo studio, la salute, l'ambiente, l'acqua… e nuovi bisogni come il web per tutti...Movimenti sociali che come la talpa di Marx,  scavano e emergono, per re-immergersi e riemergere. Da tempo la talpa è ben sveglia ed al lavoro….aiutiamola….intensifichiamo le lotte e riprendiamo a discutere di nuove forme di comunismo, riprendiamo a  parlare di economia politica e a immaginare e sognare un mondo diverso……
La domanda di sinistra e di nuove forme di economia e di governo è tornata forte……Ora è dovere dell'intellettualità diffusa, del general intellect e dei movimenti, elaborare in modo sempre più chiaro, e costruire una forte ossatura ideologico-politica, che dia la necessaria progettualità e supporto alle lotte, e che profili sempre più chiaramente l'orizzonte verso cui tendere.....

Paolo Gonzaga

sabato 19 marzo 2011

Led Zeppelin - Stairway To Heaven

Proposte di rifondazione della sinistra europea: Oskar Lafontaine e la Linke tedesca

Nel nostro percorso di ricerca sui pensatori moderni che contestano il sistema neo-liberista globale e prospettano delle alternative di sinistra, vogliamo proporre questa intervista a Oskar Lafontaine, del partito "Linke" tedesco, che in pochi anni, da piccolo partito di estrema sinistra ha saputo diventare un punto di riferimento per tutti coloro che pensano che un altro mondo sia possibile. E'importante rilevare cosa accade fuori dai nostri confini nazionali, perché un'alternativa di sinistra deve realizzarsi in tutta Europa, e possibilmente in tutto il mondo. Nel mondo globalizzato diventa sempre più difficile per qualsiasi Stato Nazione, poter declinare dei principi anti-capitalisti solo all'interno del proprio territorio. Dobbiamo puntare perciò ad un'alleanza internazionale tra movimenti e partiti che rifiutano il neo-liberismo, con un lavoro che miri sempre al "glocal", cioè che influisca sul locale, sul territorio, mantenendo sempre una prospettiva globale e allacciando relazioni, alleanze, rapporti, con chi in altre parti del mondo si batte per gli stessi principi.

Questo non è l'unico mondo possibile!  

Dal sito: http://www.legadeisocialisti.it/

  

Oskar Lafontaine: Rifondiamo la sinistra europea


Lafontaine: «Rifondiamo la sinistra europea»
Scritto da Oskar Lafontaine (pres. Die Linke) 


La crisi che stiamo attraversando non è semplicemente tecnica ed economica ma di tutto il sistema sociale. E’ importante sottolineare questo punto, altrimenti rischiamo di non capirla. Sono in gioco i nostri valori. Per trent’anni ha dominato la filosofia neoliberista, una filosofia contro l’umanità il cui unico obiettivo è il profitto e non la soddisfazione dei bisogni dell’uomo. 
E per avere sempre maggiori profitti si deregolamenta tutto a livello mondiale. Mi piace sempre citare Rousseau per spiegare cosa dobbiamo fare: bisogna avere delle regole per difendere i deboli. In questo periodo senza regole sono i più deboli che necessariamente soccombono. Il risultato di questa crisi è una profonda recessione economica che verrà pagata dai più deboli.
La sinistra deve avere un’altra filosofia rispetto al neoliberismo. Se loro chiedono deregolamentazione, noi dobbiamo chiedere più regole. Se loro parlano di privatizzazione noi proponiamo una più forte presenza pubblica in economia. Cuore del neoliberismo è la flessibilità. Bene, noi proponiamo allora un mercato che permetta agli uomini di essere liberi, contro la precarietà.

La nostra è una filosofia di salari adeguati ai bisogni umani, accettabili non solo per le famiglie ma anche dai singoli. Penso che in Germania quasi tutti i partiti siano infetti dal virus neoliberista. Nel mio paese c’era una forte domanda popolare di un partito diciamo «sano», immune da questo virus. E noi siamo stati, e siamo ancora, in grado di dare una risposta a questa domanda. Faccio alcuni esempi: siamo contrari alla prosecuzione della guerra in Afghanistan; gli altri partiti chiedono a gran voce flessibilità, bene, noi siamo per una forte regolamentazione del mercato; e ancora, lottiamo perché si arrivi per legge a un salario minimo garantito. Sulle pensioni tutti i partiti tedeschi puntano alla distruzione del sistema pensionistico pubblico. Noi vogliamo che le pensioni dei nostri anziani siano adeguate ai loro bisogni. Sulla disoccupazione: dopo un anno di non lavoro adesso si hanno 350 euro. Noi chiediamo maggior sostegno ai disoccupati. Abbiamo quattro punti chiari, condivisi dalla maggioranza della popolazione. E grazie a quelli cresciamo anche elettoralmente.
La sinistra anche in Italia deve avere pochi punti chiari su cui non deve transigere. Devi arrivare al popolo. Se fai compromessi non buoni con altri, poi la paghi. Anche elettoralmente. E’ il concetto di sinistra “riformista” ad essere falso: un movimento veramente riformista si deve porre come obiettivo delle riforme, al termine delle quali la popolazione stia meglio. La cosiddetta sinistra “riformista” oggi punta invece all’eliminazione di vantaggi sociali. Non ci si può alleare con chi si dice di sinistra e poi porta avanti politiche che non lo sono. Si torna al concetto iniziale: la formula di Die Linke è per la regolamentazione. E poi in politica estera dobbiamo dire no alla guerra. Serve un rinascimento della sinistra in tutta Europa, direi una «rifondazione», servono punti chiari e condivisi con la base; se decidono tutto i vertici allora si perde. La sinistra deve tirare fuori la testa dal sistema. Un partito si definisce dal programma. Il programma dice chiaramente chi siamo e dove vogliamo andare. E anche con chi possiamo fare il percorso. Anche rischiando di perdere qualcuno per strada.
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Oskar Lafontaine
(presidente della Linke tedesca insieme a Gregor Gysi)