domenica 31 luglio 2011

Il libro "Islam e democrazia -I Fratelli Musulmani in Egitto"...dopo le prime presentazioni









































Dopo le prime presentazioni del mio libro, “Islam e democrazia- I Fratelli Musulmani in Egitto”, libro che ho stampato da pochissimo, a fine Maggio con “ediz.Ananke” di Torino, posso dire che il libro sta andando alla grande. Ho venduto più di una copia al giorno attualmente, e questo solo io personalmente durante le presentazioni, non so come stia andando in libreria, ma mi auguro bene, molti mi hanno detto di averlo richiesto. Il libro racconta, con linguaggio scorrevole e con chiarezza nei concetti, storia, ideologia, programma politico del movimento dei Fratelli Musulmani, che dall’Egitto poi si diffonderanno in tutto il mondo e che in Egitto sono attualmente l’unico movimento e partito politico (partito politico a cui è stato dato il nome di “Hurriya wa ‘Adala”, cioè “Libertà e Giustizia”) ad avere una lunga storia alle spalle, un’organizzazione eccellente, dovuta anche all’incessante e reticolare lavoro sociale verso i più poveri, gli svantaggiati, le vedove, gli orfani…., un consenso sicuramente rilevantissimo, e benchè non siano tra i primi artefici della rivoluzione - da buoni conservatori non amano la lotta sociale - hanno poi saputo comprendere l’importanza del movimento di piazza Tahrir, un po’ anche trascinati dai loro giovani (che vanno spesso più d’accordo con i loro coetanei di opposto schieramento che con la loro vecchia e conservatrice dirigenza) , entrarvi poi da protagonisti, e goderne i frutti. Ora i “Fratelli Musulmani” assieme agli altri movimenti islamisti come i fanatici salafiti raccolti nell’”Hizb an-Nur”, il “Partito della Luce” stanno supportando l’esercito, che in questa fase di “transizione” gestisce il potere e che ha dimostrato abbondantemente la sua natura autoritaria, con arresti immediati dei critici e condanne di oppositori via Tribunale Militare.
D’altra parte però abbiamo dato ampio spazio ai movimenti dei giovani blogger  laici del “6 Aprile”, veri artefici della rivoluzione, e alla generazione che usa Facebook, Twitter, You Tube, il web in generale e la tecnologia per avvantaggiarsi nella lotta politica e sociale, avanguardie altamente ideologizzate e tecnologicamente attrezzate e preparate. I blogger del 6 Aprile furono i primi a creare nel 2008, il 6 Aprile (da cui viene il nome del movimento), un’alleanza con gli operai del distretto industriale di Mahalla, vicina al Cairo, in lotta e quel giorno in sciopero. Da questa alleanza studenti-operai,  che ha poi calamitato attorno a sé poi il movimento “Kifaya” (Ora Basta/Ya Basta) e con tutta la galassia delle opposizioni laiche, dai nasseriani, ai comunisti, fino ai liberali…nacque il nucleo che porterà alla cacciata di Mubarak. Il gruppo “Kifaya”, primo nucleo formatosi nel 2005 di pubblici oppositori e composto in primo luogo da coraggiosi artisti e uomini famosi, fondato da famosi intellettuali come l’ex-esponente dell’ala più riformista dei Fratelli Musulmani, Dr. Abu el  Futtuh (ora uscito dalla Fratellanza per seri dissidi ideologici), lo scrittore laico Al Aswani, il cristiano George Ishaak  che potevano “permettersi “ di dissentire pubblicamente perché troppo in vista per essere torturati o segregati da qualche parte, (anche se arrestati lo furono numerose volte), è stato importantissimo per la rivoluzione ed ha permesso di evitare le facili criminalizzazioni del movimento da parte dei mass-media di regime. Spesso sono stati gli ambasciatori del dissenso in Egitto ed hanno potuto rendere note molte situazioni che invece il regime cercava di nascondere o di mistificare.
Fu da queste due componenti unite temporaneamente che nacque la rivoluzione egiziana,  il suo successo si deve in grandissima parte all’alleanza di tutte le realtà e singolarità contrarie a Mubarak in campo laico, con le forze islamiste, i Fratelli Musulmani  in primo luogo, ma anche poi con i salafiti, inizialmente contrari alla rivolta (perché portatrice di “fitna”, di caos per la comunità dei fedeli), ma presto convertiti alla causa rivoluzionaria.
Ora in Egitto, la nuova e sconosciuta (benché relativa) libertà di stampa e di espressione, sta permettendo la nascita di tantissimi nuovi partiti, scuramente molti destinati al naufragio, altri che avranno invece più successo. Nel libro troverete un breve sguardo su molti di essi.
Oggi, l’alleanza tra queste due componenti così diverse fra loro, ma che sembrava poter resistere e mettere i cittadini egiziani in una posizione di forza rispetto ai militari al comando, sembra definitivamente perduta. La differenza politica tra chi vota laico e chi vota islamista è già ampia e i rapporti tra le rispettive dirigenze si sono decisamente allentati e peggiorati.
Ora non ci resta che seguire il più da vicino possibile le evoluzioni politiche in un clima più che fluido e dove ogni giorno ci sono cambiamenti e prese di posizione diverse. Il 30 Settembre, anche se la data è ancora non certa del tutto, dovrebbero svolgersi le prime elezioni teoricamente libere, ma c’è ancora molto da vedere: i gruppi laici chiedono la redazione della nuova Costituzione prima delle elezioni ma i gruppi islamisti rifiutano, non rientra nel loro concetto di democrazia a quanto pare, visto che invece loro spingono per l’applicazione totale del risultato referendario, che prevedeva appunto prima le elezioni parlamentari e soltanto dopo, la Costituzione.  Questo perché tutti temono un “exploit” elettorale dei Fratelli Musulmani che viene unanimemente riconoscono come l’unico movimento ad oggi davvero radicato e organizzato e favorito alle elezioni, e di conseguenza una Costituzione troppo legata alla “Shari’ah”, alla legge islamica.
Questo è solo un piccolo assaggio, invito chi volesse comperare questo libro, a ordinarlo presso la più vicina libreria, la Feltrinelli sicuramente. Se  qualcuno riscontrasse delle difficoltà a reperire il libro è pregato di segnalarmelo scrivendo a paologonzaga70@gmail.com ed eventualmente non avrò difficoltà ad inviarglielo io personalmente.
Dott. Paolo Gonzaga
Esperto in lingue, letteratura e Civiltà Araba, specializzato sull’islam politico, traduttore,  giornalista e studioso.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 

Il fossato sempre più ampio tra forze laiche e forze islamiste (Fratelli Musulmani, salafiti......)

SEMPRE PIU' FORTE LO SCONTRO TRA I LAICI (DAI COMUNISTI AI LIBERALI...) E GLI ISLAMISTI (FRATELLI MUSULMANI E SALAFITI...) 




I lettori di questo blog mi perdonino, se anche questa volta, per aggiornarvi su ciò che accade in Egitto non uso parole mie, ma riprendo in toto un post della cara amica Lia, che sto per andare ad incontrare al Cairo. Lo faccio perché appunto, lei ora é al Cairo e notizie più fresche non potremmo averne, altro che "Corriere della Sera" e giornalacci vari, quello di Lia é un articolo dalla così alta qualità che in Italia non verrebbe mai pubblicato da un grande giornale: l'analisi é troppo profonda e sconveniente per l'Occidente alleato dell'Arabia Saudita, che sta mettendo in campo le sue forze per prevenire una situazione simile a quella egiziana, intervenendo direttamente in Egitto. Ed ecco che abbiamo improvvisamente masse di salafiti-wahhabiti, che spaventano la borghesia egiziana e boicottano le iniziative dei giovani laici.

Ma ecco cosa ci scrive la nostra Lia: nel suo bellissimo blog, "Haramlik":http://www.ilcircolo.net/lia/


Salafiti, militari, laici e qualche malinteso

Leggendo in giro, mi pare che in Italia non si stia dando la sufficiente rilevanza a quelli che sono gli effettivi schieramenti politici, in questo momento, in Egitto: che da una parte ci sono i gruppi laici, cioè, che formano un ventaglio ampio che va dalla sinistra delle organizzazioni dei lavoratori fino ai liberali, e dalla parte opposta ci sono gli islamisti E i militari.
Ripeto, ché forse non è chiaro: gli islamisti stanno dalla parte dei militari e contro i laici rappresentati dal sit-in in Tahrir.
Tutti i gruppi religiosi – dai Fratelli Musulmani ai Salafiti alla Gamaa Islamiya – chiedono all’esercito, da un mese, che Tahrir venga sgombrata, ed usano nei confronti degli occupanti gli stessi insulti, le stesse categorie di accuse dei militari stessi: “portatori di caos”, di “disordine”, gente “pagata dall’estero” e via dicendo.
In piazza Tahrir, venerdì, gli slogan religiosi erano intervallati da slogan a sostegno delle Forze Armate e, tra i laici, lo sconcerto si traduceva essenzialmente nella domanda che più circolava: “Ma non si sono ancora stancati di farsi usare dall’esercito, questi? Non gli è bastato Sadat, non gli è bastato Mubarak, non imparano mai niente?
Se ne discute da mesi, in Egitto. A Maggio, l’Al Masri al Youm scriveva:
During the 25 January revolution, Salafi scholars denounced protests as un-Islamic and warned Muslim youths against engaging in the uprising, but the hard-line Muslims became visible once Mubarak and his security apparatus fell. They were emboldened to stage more protests along sectarian lines. Some went further, announcing the formation of political parties to compete in the parliamentary elections slated for September.
Some observers allege that the sudden emergence of Salafis is orchestrated by Saudi Arabia, which seeks to abort the Egyptian revolution for fear that the same revolutionary model would be reproduced on its soil.
Younis expects that after the Imbaba incident, the army will deal a blow to such radical groups. However, he voiced fears that giving the military a free hand in uprooting Salafis might threaten the prospects for a transition to civil democratic rule.
“If the army hits them and gets applauded by the middle class and the intelligentsia, the military will acquire a bigger role in Egypt’s politics,” said Younis. “This will mean that the military is the one that deserves to rule.”
Since Mubarak stepped down, the military has affirmed its commitment to instating a civil democracy. Yet, skeptics remain concerned that the SCAF might groom a presidential candidate from the barracks before the presidential poll set for December.
By a similar logic, Mubarak’s regime spent many years establishing and solidifying its legitimacy. In the 1990s, secularists, liberals and Copts rallied behind him to fight armed Islamist groups. Such support allowed him to build a draconian police state that violated human rights on the pretext of defeating Islamist opponents. After succeeding in stemming terror, Mubarak groomed his regime as the sole guardian against the resurgence of violent groups. At the same time, he implemented the same notorious strategies against peaceful opposition.
E’ uno schema più che collaudato, e stupisce davvero rendersi conto che gli anni di carcere che tanti di loro portano ancora sulla pelle non gli hanno insegnato nulla. Del resto, quello che penso io dell’islam politico è noto a chi mi legge: un po’ di leader venduti al potere di turno che muovono masse di gregari tra le cui virtù – che pure esistono, a livello umano – non brilla sicuramente l’acume. In Egitto come in Occidente, direi.
Per settimane, tutte le forze islamiste, senza eccezioni, hanno continuato a denunciare il sit-in di Tahrir, diffondendo ogni tipo di squallida, losca bugia sensazionalista contro i manifestanti, in larga maggioranza laici, accompagnati dall’agitazione diffusa dai militari stessi, che già avevano aizzato gli abitanti del quartiere di Abbassiya contro il corteo del 23 luglio.
Le forze islamiste i cui leader, senza eccezioni, sono in un modo o nell’altro alleati con le Forze Armate e in attesa della parte di bottino che gli arriverà dalle elezioni in arrivo e dalle riforme costituzionali, hanno deciso di alzare il tiro contro i rivoluzionari di Tahrir annunciando, circa due settimane fa, che avrebbero convocato una protesta di massa nella piazza per affermare “l’identità islamica dell’Egitto, denunciare il progetto di riforma della Costituzione e chiedere l’applicazione della Shari’a.” L’annuncio andava di pari passo con la campagna per “ripulire Tahrir dai laici”.
Quello che è successo dopo, l’ho scritto ieri: gli incontri tra i laici e i religiosi (Gamaa Islamiya, Partito del Nour dei Salafiti e Fratelli Musulmani) e l’approvazione di un documento comune in cui, in nome dell’unità nella giornata di protesta,  i laici si impegnavano a non lanciare slogan contro le Forze Armate e a non richiedere l’approvazione della Costituzione prima delle elezioni, e gli islamisti, in cambio, si impegnavano a non lanciare slogan religiosi e a non richiedere lo Stato islamico. La protesta doveva focalizzarsi esclusivamente sui punti di accordo.
I religiosi, con l’accordo sottoscritto, ci si sono bellamente soffiati il naso (con la lodevole eccezione di alcuni giovani dei FM che hanno cercato di fermare lo scempio senza successo) e, per protesta, i partiti laici hanno convocato una conferenza stampa per annunciare che abbandonavano la manifestazione.
Zeinobia fa notare che è previsto un incontro a Washington tra i rappresentanti dell’Esercito e la Clinton per discutere della transizione egiziana, e che quello che è successo potrebbe essere il consueto messaggio delle Forze Armate all’Occidente, in particolare all’America: lo spauracchio islamico per affossare le riforme democratiche.
Intanto, i Salafiti hanno ripreso i loro pullman e sono tornati nelle loro campagne.
(La foto, presa dal solito Arabawi, mostra un Tantawi ritratto come salafita in via Talaat Harb.)

sabato 30 luglio 2011

Inchiesta sulle carceri oggi. Il 40% detenuto in attesa di giudizio, leggi come la Fini-Giovanardi sulle droghe e la Bossi-Fini sull'immigrazione che fanno sì che in carcere ci finiscano solo i poveracci!

"La Repubblica" ha fatto questa inchiesta sulle carceri, che vogliamo pubblicare per contribuire a diffonderla e a far parlare di un argomento generalmente ignorato: la situazione nelle carceri italiane. Questo perché la situazione é di massima emergenza e la legge che più contribuisce al fatto che in carcere ci siano praticamente solo dei poveracci, é la iniqua e criminale legge Fini-Giovanardi sulle droghe, oltre all'indegna legge Bossi-Fini sull'immigrazione.


DALL'ARCHIVIO di ENRICO BELLAVIA PIERO COLAPRICO

In cella meno di 24 ore
E i reati più piccoli affollano le prigioni

Il discorso del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha spostato l'attenzione sulla situazione delle carceri in Italia. Nel suo intervento a Palazzo Giustiniani ha detto: "C'è un abnorme ricorso alla custodia cautelare, realtà che ci umilia in Europa". Qualche mese fa, alla fine di ottobre 2010, Repubblica aveva affrontato l'argomento con un'inchiesta che è ancora attuale. RE la ripropone

ROMA - A ognuno di noi sembra molto ma molto difficile, se ci si comporta più o meno bene, entrare in carcere, in questa Italia. Anzi sembra che nei duecento "istituti di pena" non ci entri nemmeno chi "se lo merita". Ma non è così. Dall'Unità d' Italia a oggi, nei 170 anni di storia italiana, non si sono mai registrati così tanti detenuti nelle nostre carceri. L'ultimo conteggio ufficiale del Dap, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, parla di 68.527 detenuti (ma sarebbero già 69.500), tra i quali 3mila donne. Di queste, sessantuno hanno i figli in cella. Rispetto ai 44.568 posti effettivamente disponibili, i detenuti sono circa 25mila in più. Un terzo non è nato da noi: sono stranieri, con in testa marocchinie algerini, due terzi dei detenuti sono italiani. Da dove nascono le cifre del record? Per quale "irragionevole ragione" la popolazione carcerariaè così alta, appena quattro anni dopo l'indulto voluto dall'allora ministro Clemente Mastella? E se i reati, come assicura il ministero degli Interni Roberto Maroni, sono "complessivamente in calo", com' è possibile un incremento così ansiogeno?

Le porte girevoli

In televisione "passano" gli arresti dei latitanti, quest'ondata infinita di catture improvvise, che sommerge boss e gregari anzianotti, reduci dei vecchi eserciti mafiosi in rotta. Ma nelle celle vanno ben altri. Per esempio, ci va un calciatore, delle giovanili della Juventus. E perché? Nella Chivasso dell'ultimo ferragosto incrocia una pattuglia dei vigili e vola qualche parola di troppo. E anche se l'arresto per resistenza a pubblico ufficiale è facoltativo, D. B., classe 1988, finisce dentro. Due giorni alle Vallette, sulle brandine sovraffollate, per ricomparire in tribunale il 16 agosto. Con il suo taglio di capelli scolpito, il fisico perfetto e la maglietta alla moda spicca tra gli stranieri e i "borderline" delle direttissime: viene scarcerato, ma due giorni se li è fatti.

Cambiamo regione e professione: Felice e Salvatore sono due operai di Bagheria, hanno 28 anni, non hanno mai avuto un guaio con la giustizia, finché un giorno buttano in un cassonetto della segatura di legno. Lo avevano sempre fatto, alla fine del turno in falegnameria. Ma era appena cambiata la norma, rimasero tre giorni dentro. Qualche anno fa, e ancora ne ridono, entrò a San Vittore un diciottenne che non s'era fermato all'alt nella zona della stazione Centrale ed era scappato con lo skate-board. E a Reggio Emilia, solo quindici giorni fa, è stato messo in cella uno che aveva rubato una lattina di birra.

É il reato che manco si sa di commettere a rendere il carcere una bolgia. Sono soprattutto i "pesci piccoli"  -  questa è la gran verità, omessa nei discorsi ufficiali sulla sicurezza e la giustizia  -  che rendono le carceri simili a una tonnara nei giorni della mattanza. E chi si occupa di detenuti accusa del disastro soprattutto le "porte girevoli": è stato ribattezzato in questo modo il vortice d'ingressi (che si potrebbero evitare) e di repentine uscite.
Come il calciatore, i falegnami e il ladro della lattina. I "nuovi rei", ossia le persone che entrano in carcere per la prima volta, sono 32mila. Uomini e donne, con famiglie, con affetti, che vengono presi, perquisiti, spogliati, che ricevono dalla polizia penitenziaria gli "effetti letterecci" per dormire sulle brande.

Vengono infilati in celle già affollatissime e ci restano, con le nuove, sconosciute e obbligatorie compagnie, non si sa quanto gradevoli, per quarantott'ore. E poi, ancora sporchi dell'inchiostro delle impronte digitali all'ufficio matricola, e con le stringhe da allacciare, ricevono tanti saluti: possono tornare a casa. In Lombardia, il provveditore regionale Luigi Pagano ha calcolato che, nelle due principali case circondariali, Milano e Brescia, la percentuale dei detenuti che "esce nel giro di una settimana varia dal cinquanta al sessanta per cento. A volte arriva uno alle 12 e alle 14 esce".

Mentre il nostro governo si dedica anima e corpo al cosiddetto lodo Alfano e al "processo breve", a chi e a che cosa serve questo "carcere breve"? Non c'è una risposta che sia una. Ma è stato calcolato che quattro persone comuni su dieci, la cui fedina penale era pulita, e che se la potevano cavare con una denuncia a piede libero, incontrano il sistema penale italiano: meglio, ci sbattono contro.

Una parte molto cospicua di questo "entra ed esci" riguarda quelli che vengono anche definiti "reati apparenti", e cioè reati in cui manca la vittima. È il reato principe degli immigrati clandestini, come Frank: era un habitué dei portici di Palermo, ha collezionato un arresto ogni due settimane per mesi ("non ottemperava al decreto d'espulsione") fino a quando è riuscito a far perdere le proprie tracce.

Quello cui si sta assistendo  -  parlano i fatti  -  è un "repulisti" di poveracci, di stranieri e di tossici, messi nella "discarica" del carcere (sono tutte parole pronunciate nei convegni). Se questo può forse corrispondere a una precisa logica "d'ordine" (ordine almeno apparente, da immagine televisiva e non da strada), il problema non cambia. Il reato piccolo piccolo è in agguato per chiunque: Antonio è un odontotecnico, è stato accusato di un furto di corrente elettrica, si era dichiarato innocente, ma non ha avuto possibilità di difesa, giacché il tecnico dell'Enel aveva portato via il contatore. Quattro giorni di prigione e poi via di corsa a patteggiare, "pur di tornarmene fuori", dice.

Qual è la "colpa principale" per quasi la stragrande maggioranza dei detenuti italiani? Sono i "reati contro il patrimonio": furti e borseggi. Poi c'è il piccolo spaccio. Molto impegnati nel "turn over" della giustizia sono i tossicomani, arrestati per possesso di droga sul cui uso, personale o per vendita, deve pronunziarsi il magistrato. Ben il 30 per cento dei detenuti è consumatore di droga (e molti sono affetti da epatite C) e dovreste stare in comunità (ma non c'è posto). Per omissione di soccorso, ingiuria e diffamazione finisce dentro il 15 per cento. In fondo alla classifica dei detenuti, ecco i responsabili di reati contro la pubblica amministrazione (3,4) e contro l'amministrazione della giustizia (2,9%).

Le misure della tortura



E i "cattivi" veri? A conti fatti, solo tre detenuti su dieci  -  attenzione  -  si sono macchiati o sono sospettati di crimini violenti. Più paradossale il tema dei "mafiosi in galera": intere fette di territorio sono in mano ai clan, ma in carcere non arrivano a seimila detenuti. E, tra questi, è il 10 per cento che sconta il famoso o famigerato 41 bis, ossia il carcere durissimo. Quanti? Presto detto: 267 camorristi, 210 esponenti di Cosa nostra, 114 affiliati alla 'ndrangheta. Una goccia nel mare.

Vale la pena di ricordare che era il 2006 e con l'indulto avvenne "l'esodo dei 23mila". Ma adesso "tutte le Regioni italiane hanno abbondantemente superato la capienza regolamentare", come denuncia il sindacato di Polizia penitenziaria Sappe. Al Nord non si sta meglio che al Sud. Il top? È in Emilia Romagna: capienza totale 2393, numero dei reclusi oltre 4.400. "In percentuale è il 198 per cento, un dato cronico e destinato a superare ogni limite in Italia", dice Franco Maisto, presidente del tribunale di Sorveglianza di Bologna. "Siamo in un frenetico e imperdonabile immobilismo, "si fa si fa", dicono, e non si fa mai niente in nessuna direzione. Né aumentano i posti letto, né esce la gente".

"Detenuto in attesa di giudizio" è il titolo di un vecchio film, con Alberto Sordi protagonista. Raccontava di un innocente che finiva in carcere. Negli anni dell'inchiesta milanese "Mani pulite", quando a entrare in cella erano politici, finanzieri, imprenditori, molti giuravano: "Mai più, bisogna cambiare le carceri". Comunque la si pensi sul "pugno duro", sul "giustizialismo" o sul "garantismo", il dato è angoscioso: il 43 per cento degli attuali detenuti è in attesa di giudizio.

Dietro le sbarre, dove qualche gangster resiste ancora, e non mancano i balordi, tra tossici e clandestini, gravitano oggi 30mila detenuti senza una condanna definitiva. E  -  attenzione  -  la metà di questi "non definitivi", e dunque almeno quindicimila, sarà  -  la stima è dell'associazione Ristretti Orizzonti  -  assolta. In Europa, siamo un caso unico.

È grazie a questo paranoico stato delle cose che in cento posti-branda sono ammassate  -  per statistica  -  152 persone. Soltanto in Bulgaria il tasso di affollamento delle carceri è maggiore (155), mentre la media europea è di 107 detenuti ogni 100 posti. I letti a castello arrivano a tre, quattro piani, la testa di chi dorme è a 50 centimetri dal soffitto. Spesso lo spazio vitale del detenuto è molto al di sotto dello standard dei 3 metri quadrati che sono "la misura della tortura".

Il coefficiente, in molte carceri dell'Italia del G8, è del 2,66 periodico: un coefficiente accettabile solo tra innamorati. Caltagirone, in provincia di Catania, è al primo posto per l'indice di sovraffollamento: ospita 302 persone invece delle 75 previste. Lo segue un altro carcere siciliano, Mistretta (Messina), con l'indice al 175 per cento. E la Uil penitenziari fa notare anche il caso di Busto Arsizio (Varese), non enorme, ma con gli arresti dell'aeroporto internazionale della Malpensa, "è pieno come un uovo".  Si sta un po' più larghi a Poggioreale: il carcere di Napoli ha una capienza di 1.658 persone, è arrivato a 2.801, numero che lo rende in termini assoluti quello più popolato d'Europa. Sommando tutti i numeri dei detenuti europei, fa effetto scoprire che uno su quattro si trova in Italia.




L'exploit dei costi




Quanto costa questa macchina infernale? E che rimedi propongono dal governo?  Ogni detenuto costa allo Stato come se alloggiasse in un hotel quattro stelle: 113,04 euro. È questa la cifra media che il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, indica come costo giornaliero di un detenuto. In totale fanno 2,7 miliardi di euro. La cifra, non certo bassa, viene considerata ben al di sotto del necessario dagli
operatori.

L'associazione Antigone, che oggi diffonderà un suo dossier sulle carceri, ha calcolato che se si arrivasse alla cifra dei 44 mila detenuti previsti nelle tabelle, si risparmierebbero 1,5 miliardi di euro. Non mancano neppure sprechi "classici": come le nuove manette acquistate in confezione da cinque per le quali però, stando a un sindacato, ci sono solo due coppie di chiavi.

Gli agenti sono 39mila contro i 45 mila dell'organico. E seimila assenze pesano: nella sezione femminile del carcere pesarese Villa Fastiggi hanno dovuto lavorare anche agenti maschi, con sconcerto generale. Anche perché, nel gennaio scorso, il ministro Angiolino Alfano, in un incontro con i sindacati della polizia penitenziaria, aveva rassicurato tutti. Come? Annunciando diciotto nuove carceri, di cui dieci "flessibili". E garantendo  -  parole sue  -  le "tanto agognate 2mila unità".

Risultato reale? Zero. Ma questo di Silvio Berlusconi non era il "governo del fare"? Un altro anno galeotto sta finendo, e tra due mesi scade anche il decreto ministeriale che aveva nominato commissario straordinario Francesco Ionta.

I "Baschi azzurri" della polizia penitenziaria fanno le scorte. Ma  -  chiedono da qualche tempo  -  ha senso organizzare trasferte "di almeno tre uomini" non per i mafiosi, ma per chi sta per essere rilasciato? "Partiamo in tre con il cellulare  -  è il racconto concreto  -  per trasportare in un'altra regione qualcuno che va ai domiciliari, lo salutiamo e lo lasciamo libero anche... di evadere", protestano. È anche successo che, durante un trasferimento, il furgone cellulare si sia fermato: siccome si taglia su tutto, nel serbatoio non c'era più benzina." 
Questa ottima inchiesta termina con un video sulle condizioni carcerarie in Italia, che potrete trovare al link:                                                                  http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/inchiesta-italiana/2011/07/28/video/carceri_i_trentamila_delle_porte_girevoli-19750569/1/
ues

lunedì 25 luglio 2011

Le ultime dal Cairo, e dalla ri-occupata piazza Tahrir.

Un altro blog che seguiamo spesso, sia per ragioni di lunghissima amicizia personale, sia per ragioni di conoscenza approfondita del mondo arabo, islamico e dell'Egitto in particolare, che, con accento spesso ironico e molto narrativo, (Lia é una scrittrice nata),  la nostra cara Lia ci narra, è il blog: http://www.ilcircolo.net/lia/
Chi ci scrive, l'Egitto lo ha vissuto davvero, lo ama alla follia, lo conosce meglio di moltissimi egiziani stessi e sembra non avere tregua se non quando é lì, in Egitto, ma al Cairo in particolare, città che le è entrata nel cuore e nella pelle. Perciò per un aggiornamento sulla situazione egiziana, visto che in attesa di andare anch'io a vedere con i miei occhi gli eventi, e poter così soddisfare la mia curiosità intellettuale e avere poi molto da raccontare per le presentazioni del mio libro sulla rivoluzione egiziana, riportiamo quanto ci narra, con un sacco di link che sono tutti da seguire, la nostra Lia che si trova in loco, tramite il suo bellissimo sito.



Twitter ed altro a Tahrir

"A Tahrir c’era un sacco di roba, l’altra sera: l’inaugurazione della scuola in piazza, il cinema all’aperto e, prima, quest’esperimento chiamato Tweetnadwa di cui parla anche Paola Caridi qui:
Si tratta di una specie di assemblea di twitters: un palchetto con uno schermo su cui scorrono i twits della gente seduta lì attorno, su appositi lenzuoloni stesi per l’occasione, un moderatore e vari interventi di persone che sono abituata a leggere su Twitters e poi, dal vivo, ti impressionano per come sono giovani.
Molta borghesia cairota, tra questi ragazzi: la piazza è più interclassista, spesso decisamente popolare. In questi incontri, invece, noti un livello socioculturale diverso, e la sensazione di stare assistendo alla crescita della futura classe dirigente egiziana si fa ancora più forte.
Tahrir è comunque, sempre di più, un Egitto in miniatura. Io ho trovato strepitoso questo post di Sandmonkey: il post dell’anno, per quanto mi riguarda. Qui un piccolissimo assaggio, ma il post va letto tutto:
Tutto è iniziato nella zona delle tende, dove dormiamo: la prima notte le tende erano una accanto all’altra, in formazione sparsa. Poi abbiamo cominciato ad avere problemi con la gente che passava: domande indiscrete, occhiate (c’erano ragazze nelle nostre tende, figuratevi…) e occhiolini alle ragazze. Così, il giorno dopo abbiamo cambiato la posizione delle tende, in modo da creare un grosso circolo con uno spazio all’interno per gli ospiti ed un’unica entrata/uscita all’area. Il tutto, per proteggerci dagli sguardi e dalle azioni della stessa gente i cui diritti stavamo difendendo. Così, senza neanche accorgercene, abbiamo creato – noi, gente che considera elitisti e classisti i quartieri residenziali – il nostro involontario quartiere residenziale. E la cosa più tragicamente comica è stata che, nel nostro tentativo di assicurare il passaggio all’area e di controllarne l’accesso, abbiamo pure reso impossibile la fuga nel caso fossimo stati attaccati. Standard di sicurezza egiziani al loro meglio!
Poi sono arrivati i ragazzini di strada. Tre di loro, di 8, 12 e 13 anni. Un giorno sono arrivato e li ho trovati lì con noi, giacché la gente delle tende, in lotta per l’uguaglianza, li aveva fatti entrare ed aveva iniziato a insegnargli cose, a giocare con loro e a condividere i ventilatori, l’ambiente comodo, l’acqua fredda e i succhi e gli snacks. E quando sono arrivate le scorte e abbiamo cominciato ad aprirle e a organizzarle, loro hanno iniziato ad aiutarci, e a ripulire la zona. Alla fine eravamo così a nostro agio in questa dinamica che abbiamo cominciato a rivolgerci a loro quando ci serviva roba da mettere in freddo o dovevamo ripulire la zona delle tende, creando quindi, senza farlo apposta e senza volerlo, qualcosa che somigliava molto allo sfruttamento del lavoro minorile, in cui i ragazzini lavoravano in cambio di cibo, bevande, svago e posto per dormire, il che è economia trickle-down ai suoi livelli più basici: bella cosa, da parte di un gruppo di rivoluzionari e attivisti dei diritti umani [...]
No, ma leggetelo tutto . Sul serio.
A Tahrir, di giorno, ci sono comunque una quarantina di gradi: è un forno, dico sul serio.  Io mi sono già presa un po’ di malanni – dal torcicollo, a furia di passare dal forno all’aria condizionata, a un accenno di attacco di porfiria che sto sconfiggendo bevendo litri di acqua e zucchero. Le successive riflessioni sulla mia scarsissima forma fisica mi hanno fatto capire che ho bisogno di un paio di giorni di tregua al mare. Forse parto domani.
Adesso, invece, vado a cena al Fish Market, confidando in un’improbabile brezza dal Nilo." Lia.
Crediamo che sia davvero un'ottimo articolo da presentare ai lettori di questo blog, e alcuni buoni link per post quasi sempre interessanti: http://www.ilcircolo.net/lia/ ed anche il militante e blogger egiziano ora in Piazza Tahrir:http://www.sandmonkey.org/ (in inglese), e la migliore di tutti in Italia di sicuro, Paola Caridi, con il suo imperdibile  http://invisiblearabs.com/.
A presto per altre novità sull'Egitto
Paolo Gonzaga